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«In un casinò la regola è far continuare a giocare i clienti. Più giocano e più perdono, e alla fine becchiamo tutto noi», fa dire Martin Scorsese a Robert De Niro, alias “Asso” Rothstein, nel film Casinò. Regola che a Saint Vincent, tuttavia, nessuno ha mai applicato. Perché se avesse funzionato anche lì, come nelle case da gioco del mondo intero, il Casinò de la Vallee non avrebbe perso una montagna di soldi. Centotrentaquattro milioni 583.189 euro dal 2003 al 2016, che fa 26.311 euro al giorno. Ogni valdostano, neonati compresi, perde al Casinò un centesimo all’ora. E non è una battuta a effetto, ma un’emorragia economica reale: perché la casa da gioco è pubblica, di proprietà della Regione. Che ora, dopo il rosso monstre dell’anno scorso (46,6 milioni!) dovrà con ogni probabilità rimettere mano al portafoglio per ricapitalizzare: almeno una ventina di milioni.

Un altro fra i prodigiosi risultati delle autonomie regionali? In una certa misura. Di sicuro il Casinò è oggi lo specchio della Valle D’Aosta. E se è legittimo chiedersi che senso abbia la sopravvivenza di statuti regionali speciali che spesso risultano fonte di sprechi e privilegi anacronistici e non più giustificabili, in questo caso la domanda è ancor più radicale: a settant’anni dai trattati di pace di Parigi del 1947 che ne sono di fatto l’origine, può ancora esistere una Regione così?

Il record di dipendenti pubblici
Secondo l’ultimo dato Istat la Valle D’Aosta ha 126.883 abitanti. Più o meno la metà di Verona, o se preferite tanti quanti sono i residenti di Giugliano in Campania, provincia di Napoli. Con la densità territoriale minore del Paese, la popolazione è disseminata in 74 comuni. Ognuno dei quali ha i relativi uffici. Ci sono poi quelli della Regione, oltre alle strutture periferiche dello Stato centrale. Il che rende questa microscopica Regione il più massiccio serbatoio di posti pubblici della nazione in rapporto agli abitanti. L’Istat dice che ce ne sono 14.101, ovvero uno ogni nove valdostani. Dei quali posti, va precisato, ben 2.821 sono occupati dai dipendenti regionali. Duecento in più rispetto alla vicina Regione Piemonte, che però di abitanti ne ha 4,4 milioni.

Ma non basta. Perché si deve aggiungere la pletora assurda delle società pubbliche. Nel portafoglio della Valle D’Aosta si contano una sessantina di partecipazioni di primo e secondo livello, con un numero di posti a carico del bilancio regionale non inferiore alle 2.300 unità. Settecento solo nel Casinò. Per non parlare dei 22 “enti strumentali” elencati nel bilancio regionale. Se poi si calcola anche l’indotto, si può dire che in ogni famiglia c’è chi campa con i denari pubblici.

Tutto parte da qui. Per chi non lo sapesse, la Valle D’Aosta è l’unica Regione italiana il cui governatore non è votato dal popolo, ma nominato dal consiglio regionale. Succede quindi che dopo le dimissioni del presidente Pierluigi Marquis seguite al ritrovamento di 25 mila euro in contanti nel suo ufficio, non si torni a votare. Perché la crisi si risolve esattamente come nella prima repubblica, con una manovra di corridoio. Anche se nulla cambierebbe pur tornando al voto. Perché in una comunità così ristretta, con il meccanismo delle tre preferenze, il sistema è congegnato in modo tale da garantire la conservazione del potere. Accontentando tutti grazie allo statuto speciale.

Il bastone del comando
In una Regione normale come la Lombardia c’è una poltrona ogni 125 mila abitanti. Seguendo lo stesso criterio, il consiglio regionale della Valle D’Aosta dovrebbe averne una sola. Invece sono 35: una ogni 3.600 residenti. Con i costi che ne conseguono, se si considerano anche i 111 dipendenti del medesimo consiglio. Dal 1946 a oggi, per più di sei decenni, il bastone del comando è stato nelle mani dell’Union Valdotaine, che ha governato ininterrottamente negli ultimi ventiquattro anni fino all’arrivo Marquis della Stella Alpina, il quale ha retto soltanto sei mesi e poi s’è dovuto dimettere. Prima di lui, la lunga epoca di Augusto Rollandin, ultimo vero padre padrone di una Regione dove un certo modo di intendere la politica ha allagato l’intera società. Come dimostrano alcuni dettagli solo apparentemente trascurabili.

Prima di essere nominato governatore Rollandin era presidente della Compagnia valdostana delle acque, l’azienda pubblica che gestisce gli impianti idroelettrici acquistati nel 2001 dalla Regione con un’operazione di cui si parla più avanti. Società nella quale l’assessore al turismo Aurelio Marguerattaz, già membro del collegio sindacale del Casinò, è stato peraltro revisore. Mentre lo stesso Marquis aveva in passato occupato le poltrone di presidente della Società autostrade valdostane e del Raccordo autostradale Valle D’Aosta spa.

L'ombra del voto di scambio
Su 35 consiglieri, una decina hanno ricoperto incarichi in aziende o enti regionali. E colpisce che in quattro siano stati sospesi ai sensi della legge Severino perché raggiunti da condanne in primo grado in seguito alle inchieste sull’uso improprio dei fondi di partito. Mai però come hanno colpito le sconvolgenti affermazioni di Rosy Bindi, presidente della commissione parlamentare antimafia, che giovedì 19 ottobre ha scioccato l’intera Regione con queste parole: «In una realtà con così pochi elettori e una presenza significativa di persone riconducibili a gruppi ‘ndranghetisti è singolare che in Valle D’Aosta non si sia indagato sul voto di scambio per accertare se ci sono stati tentativi di condizionamento sulle scelte politiche e amministrative».

Ombre davvero inquietanti, che si aggiungono alle tante che già aleggiano sulla più piccola Regione italiana. Al riparo dello statuto speciale e di un potere politico così pervasivo qui tutto può accadere. Sfiorando il limite delle regole imposte a ogni buon padre di famiglia. Per esempio, può succedere che la Regione acquisti un albergo (l’hotel Billia) per la rispettabile cifra di 58 milioni, con il risultato di aggravare la traballante situazione finanziaria del Casinò e ritrovarsi sul groppone altro personale.

L'affare Skyway
Oppure che la medesima Regione spenda 162 milioni per realizzare un impianto avveniristico come lo Skyway affidandone la gestione alla società Funivie Monte Bianco nella quale i privati hanno metà meno una quota del capitale. Però senza che sia stata fatta una gara, perché quella società era in origine tutta privata. O ancora, capita che più di 30 milioni dei contribuenti vengano investiti in un aeroporto gestito da un’altra società controllata da un petroliere genovese proprietario della compagnia aerea Air Vallée. Ma con la partecipazione, anche qui, della Regione che continua a tirare fuori i soldi.

I derivati con Deutsche Bank
Piccolo particolare, dal 2008 non c’è un volo di linea e l’aeroporto è costato quest’anno un altro milione e mezzo a un bilancio regionale pieno di sorprese. Una per tutte. Si scopre che dal 2001 la Regione ha stipulato con Deutsche bank un contratto in derivati per 543,1 milioni (4.310 euro per ogni cittadino) a valle di un prestito obbligazionario per comprare le centrali idroelettriche. Motivo, tutelarsi dal rischio di aumento dei tassi d’interesse. Fatto sta che i tassi sono al minimo storico e per quel contratto ventennale i valdostani stanno accantonando 43,5 milioni l’anno: circa 27 di capitale e 16 di interessi. Fare i conti non è difficile.

Poi si è reso necessario per legge un riaccertamento dei residui attivi e passivi nel bilancio regionale, con
il risultato che l’avanzo di amministrazione di 217,6 milioni del 2015 si è trasformato in un disavanzo di 204,8 milioni. Niente male, per una Regione che per statuto può trattenere in casa il 90 per cento delle tasse. Esattamente come ora vorrebbe il Veneto di Luca Zaia…