sabato 24 giugno 2017

Caro ministro Orlando I reati gravi vanno in prescrizione e le persone perbene vanno al rinvio a giudizio in un anno. Ma perché non ti dimetti. Se questa è la giustizia italiana e tu sei il ministro della giustizia siamo messi male. E se fossi stato eletto segretario del PD questo partito sarebbe sparito in tre mesi.


Barbieri-Marchese, prescrizione vicina
Scatterà a metà novembre, tempi lunghi per la sentenza. Via alla perizia sulle intercettazioni
VOGHERA
Tempi lunghi per la sentenza e prescrizione del reato vici- na nel processo che vede im- putati di corruzione il sinda- co Carlo Barbieri e il com- mercialista Guido Marchese. La vicenda è relativa alla pre- sunta tangente di 100mila eu- ro versata a Marco Milanese, ex braccio destro di Tremon- ti ed ex parlamentare Pdl, in cambio del suo sostegno per la nomina nei consigli di am- ministrazione di enti e socie- tà; quella somma, ribatte la difesa, riguarda invece la compravendita di una villa in Costa Azzurra e non ha nulla a che vedere con il ruo-
lo politico di Milanese, all’e- poca dei fatti contestati po- tente braccio destro dell’allo- ra ministro Giulio Tremonti.
Ieri mattina a Roma il tri- bunale ha nominato il perito incaricato di effettuare la tra- scrizione delle intercettazio- ni telefoniche chieste dal pubblico ministero e dai le- gali della difesa: avrà tempo fino al 31 luglio per comple- tare il proprio lavoro e depo- sitare la perizia, mentre il di- battimento è stato aggiorna- to all’11 ottobre, udienza nel- la quale verranno sentiti i pri- mi testimoni citati dall’accu- sa (un maresciallo della Guardia di finanza impegna- to nelle indagini e il perito

martedì 20 giugno 2017

I politici dei partiti casta si ritrovano ogni tanto con qualche amministratore rinviato a giudizio. Sono partito che governano da almeno venti anni. E dopo venti anni ci può stare che dentro un partito vi siano dei ladri. I 5S riusciranno a farsi rinviare a giudizio dopo un anno. Meglio di qualsiasi democristiano della prima repubblica. Mi chiedo: "Qual è la differenza tra il rinvio a giudizio di De Luca e quella della Raggi?".

Alla sindaca è contestato l'abuso d'ufficio per la nomina di Salvatore Romeo e il falso (ma non l'abuso d'ufficio) per Renato Marra. Chiesta l'archiviazione per la nomina di Daniela Raineri e per la vicenda del dossieraggio contro De Vito
ALESSANDRO D'AMATO
Il sindaco di Roma, Virginia Raggi, rischia il rinvio a giudizio per le accuse di falso e abuso d’ufficio. La procura di Roma ha chiuso le indagini, atto che di norma precede la richiesta di processo, per il cosiddetto pacchetto nomine. A Raggi è contestato l’abuso d’ufficio in relazione alla nomina di Salvatore Romeo a capo della segreteria politica, il falso per quella alla direzione Turismo del Campidoglio di Renato Marra, fratello di Raffaele, ex capo del personale.

Virginia Raggi verso il processo per falso e abuso d’ufficio

La Procura di Roma ha invece chiesto di archiviare la posizione del sindaco Raggi dall’accusa di abuso d’ufficio in relazione alla nomina di Renato Marra a capo del dipartimento Turismo. Reato contestato, invece, al fratello, Raffaele, all’epoca capo del personale del sindaco. L’ex braccio destro del sindaco, attualmente sotto processo per corruzione, secondo la Procura si sarebbe dovuto astenere da quella nomina in quanto coinvolgeva il fratello e invece se ne occupò in prima persona.
salvatore romeo daniele frongia raffaele marra
La Procura di Roma ha chiesto invece di archiviare la posizione della sindaca Virginia Raggi in relazione alla nomina di Carla Raineri a capo di Gabinetto (incarico dal quale si è poi dimessa). Pur ritenendo quella scelta non legittima, in linea con quanto rilevato già dalla Corte dei Conti, la Procura ha considerato insussistente l’elemento soggettivo del reato di abuso d’ufficio (e cioe’ il dolo intenzionale) anche alla luce di prassi già utilizzate in casi analoghi. L’indagine sul caso Raineri aveva preso il via a seguito dell’esposto presentato il 2 settembre 2016 da Fratelli d’Italia che chiedeva chiarimenti in relazione alla nomina e alla congruità del suo compenso pari a 193mila euro l’anno.

La vicenda della nomina di Renato Marra

I pm di piazzale Clodio hanno inoltre sollecitato l’archiviazione del fascicolo a carico di ignoti relativo alla presunta attività di dossieraggio contro di Marcello De Vito, e per l’ex assessore all’ambiente Paola Muraro in merito all’accusa di abuso d’ufficio.  Il fascicolo sulla nomina della Raineri aveva preso il via a seguito dell’esposto presentato il 2 settembre 2016 da Fratelli d’Italia, che chiedeva chiarimenti in relazione alla nomina e alla congruità del suo compenso, pari a 193mila euro l’anno.
virginia raggi avviso garanzia anac raffaele marra
La nomina di Marra venne bocciata dall’ANAC che poi trasmise il provvedimento alla procura di Roma e alla Corte dei Conti. L’ANAC nel dichiarare illegittima la nomina di Marra l’ha indicata come viziata da conflitto di interesse – e fin qui, c’erano pochi dubbi – ma soprattutto ha accusato la sindaca di aver tentato di coprire «uno dei 23mila dipendenti del Campidoglio», come lei stessa ha definito il dirigente che ha nominato prima vicecapo di gabinetto e poi responsabile del personale in CampidoglioScrive infatti l’Anac: «La dichiarazione della Raggi secondo cui il ruolo di Raffaele Marra sarebbe stato solo di “pedissequa esecuzione” delle determinazioni da lei assunte deve essere interpretata come piena rivendicazione della responsabilità personale, politica e amministrativa dell’adozione dell’atto di nomina. Sotto questo profilo, però, essa non vale ad escludere che l’organo politico si sia avvalso della collaborazione, anche solo ai meri fini istruttori, di funzionari del Comune». In particolare proprio di quel Raffaele Marra, capo del personale, «che, come riferito dalla sindaca nella relazione del responsabile prevenzione corruzione e trasparenza, ha raccolto tutta la documentazione, predisponendo l’atto per la firma della sindaca e lo ha controfirmato». Di qui, la conclusione. «Si deve ritenere che l’atto di nomina adottato dalla sindaca sia stato accompagnato da una attività istruttoria, svolta in particolare dall’ufficio organizzazione e risorse umane di Roma capitale diretto dal funzionario Raffaele Marra in posizione di conflitto di interessi».

Come nasce la vicenda di Renato Marra

Un durissimo j’accuse, suddiviso in due capitoli, che il sindacato dei funzionari chiede al presidente Cantone di accertare, adottando i provvedimenti conseguenti e provvedendo, nel caso le contestazioni risultassero fondate, a comunicarlo alla magistratura. Il primo riguarda la “promozione” di Renato Marra da comandante di gruppo dei vigili al vertice di un dipartimento capitolino, con relativo avanzamento di carriera e 20mila euro in più di stipendio. Avvenuta grazie a due provvedimenti distinti: la procedura di interpello sulla rotazione dei capi degli uffici comunali e la successiva ordinanza sindacale di nomina, una firmata e l’altra co-firmata dal fratello Raffaele.
Il quale, a giudizio della Direr, avrebbe invece dovuto astenersi per evitare il conflitto d’interessi previsto dal Codice di comportamento dei dirigenti pubblici, che vieta ai dipendenti di assumere «decisioni o attività che possano coinvolgere interessi propri, ovvero di suoi parenti, affini entro il secondo grado». Come i fratelli, appunto. In sostanza Raffaele Marra avrebbe compromesso l’imparzialità dell’amministrazione comunale sia per non aver segnalato al locale responsabile dell’anticorruzione il suo legame di sangue con uno degli aspiranti alla dirigenza, sia per aver gestito la selezione a cui il congiunto Renato ha partecipato.
Una doppia violazione del Codice che, insisteva il sindacato, «integra comportamenti contrari ai doveri d’ufficio» e dunque meriterebbe un’azione di «responsabilità disciplinare». Ma a creare più d’un problema alla Raggi è il secondo motivo di doglianza rappresentato all’Anac. Ovvero, le «anomalie relative all’inquadramento del dott. Raffaele Marra nei ruoli della dirigenza del Comune di Roma». Sufficienti, secondo Direr, a invalidare il suo attuale incarico. Marra infatti, ricostruisce l’esposto, è diventato dirigente a maggio 2006 vincendo con Alemanno ministro un concorso al Centro ricerche e sperimentazioni in agricoltura. Ebbene il capo del Personale capitolino non solo avrebbe preso servizio prima della pubblicazione della graduatoria, ma sarebbe stato subito trasferito all’Unire con procedura di mobilità interna (per poi sbarcare in Campidoglio, nel 2008, con lo stesso meccanismo). Un passaggio — denuncia Direr — avvenuto senza aver compiuto il periodo di prova presso il Cra previsto per legge e senza che la mobilità interna fosse preceduta da uno specifico bando o avviso pubblico.
Le telefonate tra Marra e Romeo e l'assegno per la casa Enasarco
Le telefonate tra Marra e Romeo e l’assegno per la casa Enasarco

Così la sindaca si è messa nei guai con l’ANAC

C’è anche da sottolineare che la sindaca si è messa nei guai con l’ANAC da sola. Sulla vicenda dell’incarico affidato a Renato Marra, fratello di Raffaele Marra, capo del personale del Comune di Roma,  Virginia Raggi ha dichiarato di aver compiuto da sola, in totale autonomia, l’istruttoria sul conferimento degli incarichi dirigenziali. Ma nell’ordinanza con cui è stato conferito l’incarico si fa esplicito riferimento alla “istruttoria svolta dalle strutture competenti ai sensi della disciplina vigente”. Questa è la “contraddizione” relativa al comportamento e alle dichiarazioni del sindaco, rilevata nella delibera. Questo perché in una relazione inviata all’ANAC dalla stessa sindaca al momento di chiedere se fosse regolare la nomina a responsabile del Turismo la Raggi ha specificato di aver avviato una «procedura non comparativa». Ma si tratta di un iter non previsto quando esiste la possibilità di incorrere nel conflitto di interessi, come in questo caso. Spiegava tutto qualche giorno fa Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera:
Il dossier inviato all’Anac ricostruisce la vicenda relativa a Renato Marra, specificando che la nuova amministrazione comunale per rinnovare tutti gli incarichi di vertice «ha svolto, per la prima volta nella storia dell’Ente, procedura di pubblico interpello rivolta a tutti i dirigenti di ruolo». In questo caso bisogna dunque valutare le richieste e i curriculum, privilegiando chi ha i requisiti per svolgere il lavoro richiesto. E al momento sembra escluso che questo sia accaduto per Renato Marra, visto che non aveva mai avuto esperienze specifiche nel settore del Turismo avendo ricoperto fino a quel momento la carica di vicecapo della polizia locale.
Raggi ha specificato di essere stata lei a decidere in piena autonomia: nel tentativo di «salvare» Raffaele Marra dal conflitto di interessi ha in realtà aggravato la propria posizione ammettendo di non aver fatto la «procedura comparativa» e dunque ammettendo di aver scelto direttamente lui. È la stessa Raggi ad evidenziare nel dossier come il 15 novembre 2016 Raffaele Marra abbia comunicato non solo la presenza del fratello Renato tra i dirigenti del Campidoglio, ma anche quella della sorella Francesca che lavora come funzionaria. Nella relazione non ci sono dettagli sulla data di assunzione né sulle mansioni svolte ma è possibile che questo diventerà oggetto di verifica proprio per chi indaga sulle nomine e sul potere che Marra esercitava al Comune di Roma. Anche per scoprire le modalità di entrata in servizio della donna e se possa essere stato proprio il potente fratello a far sì che ottenesse il contratto alle dipendenze del Comune di Roma.
Insomma Virginia si sarebbe messa nei guai anche con l’ANAC per salvare “uno dei ventitremila dipendenti del Campidoglio”, come ha illustrato nel monologo a mezzo conferenza stampa approntato venerdì dopo l’arresto del suo fedelissimo e braccio destro.

La vicenda della nomina di Salvatore Romeo

La sindaca Virginia Raggi firmò la delibera che il 9 agosto determinò la promozione di Salvatore Romeo. Per questo ora è indagata in concorso con Romeo, suo ex capo della segreteria politica. A Romeo inoltre fu triplicato lo stipendio. Salvatore Romeo, già capo della segreteria politica della sindaca, è accusato di abuso d’ufficio in relazione alla sua stessa nomina ed in concorso con la prima cittadina. Romeo passò da funzionario nel Dipartimento Partecipate, con stipendio di 39 mila euro annui all’incarico politico, con salario di 110 mila euro, poi scesi a 93 mila dopo l’intervento dell’Anac. Poi sono arrivate le dimissioni all’indomani dell’arresto di Raffaele Marra.
andrea mazzillo curriculum assessore bilancio
Gli stipendi dello staff della Giunta Raggi (Il Messaggero, 17 agosto 2016)
Una settimana dopo le dimissioni la Raineri rilasciò un’intervista a Repubblica nella quale spiegò la sua verità sulle dimissioni parlando anche della nomina di Salvatore Romeo, ricordando che la delibera sulla sua nomina non aveva il suo visto ma quello di Raffaele Marra:
Si è parlato a lungo del suo stipendio da 193.000 euro.
«Non nego fosse elevato. Ma in linea con quanto percepivo da magistrato. In ogni caso, l’ultimo mio atto in Campidoglio contiene la rinuncia a ogni compenso per l’attività svolta dal 22 luglio al 31 agosto. Piuttosto, sa da chi venne determinato il mio stipendio?».
Da chi? 
«Da Salvatore Romeo, capo della segreteria della sindaca. Fu lui a comunicarmi l’emolumento deciso».
Lo stesso Romeo con il quale si è più volte scontrata in queste settimane? 
«La delibera sulla sua nomina non ha il mio visto. E neppure quello di Laura Benente, dirigente capitolina delle Risorse umane. Hanno atteso che andasse in ferie per raccogliere il compiacente visto di un altro dirigente molto legato a Raffaele Marra (vicecapo di gabinetto, ndr). Quel diniego è costato il posto alla Benente, rispedita a Torino senza neanche il preavviso di 8 giorni che si dà ai domestici».
carla raineri virginia raggi 1
Carla Raineri con Francesco Paolo Tronca
Per lei la nomina di Romeo non andava bene, perché? 
«Non per il suo stipendio triplicato ma per la procedura in sé: Romeo era già dipendente del Campidoglio e non poteva essere posto in aspettativa e contemporaneamente riassunto dallo stesso ente».
Con Raggi ne ha parlato? 
«In un duro confronto, il 25 agosto, le dissi che me ne sarei andata se le cose non fossero cambiate. Per me, la presenza dell’ex assessore al Bilancio Marcello Minenna era la migliore garanzia della serietà delle intenzioni dei neo-eletti. Ma non si può restare in un luogo di lavoro dove si è avvertiti come una minaccia. Invitai la Raggi a riflettere. Le professionalità in campo non avrebbero avuto problemi nel bypassare personaggi del tutto mediocri: di fatto, però, il duo Marra-Romeo ha continuato a gestire il Campidoglio forte della protezione della Raggi e nell’indifferenza degli altri».
In un’altra intervista recente la Raineri definì la nomina di Romeo «un caso di scuola di abuso d’ufficio». Nella delibera del 9 agostorelativa alla nomina lo stipendio non viene indicato esplicitamente, ma attraverso riferimenti legislativi, non rendendo immediatamente deducibile la somma. Inoltre l’atto non venne passato al vaglio del Gabinetto per verificarne la legittimità. Questo sostanzierebbe il presunto l’abuso contestato a Raggi e Romeo. In un’intervista al Messaggero entrata ormai nel mito lo scorso 3 settembre però Romeo fu chiarissimo:
«È stato commesso un errore su quelle delibere perché eravamo in ritardo, era agosto, faceva caldo, e dovremo provvedere a una modifica della fascia di attribuzione».
Sta parlando della sua? 
«Sì, mi sono messo in aspettativa».
E da funzionario è stato assunto come articolo 90 con una qualifica da dirigente di terzo livello. E’ vero che le è stato triplicato lo stipendio? Questo non è piaciuto ai vertici del M5S. 
«Parlerò dei miei compensi a tempo debito e con le carte in mano».
E’ vero che guadagna 120mila euro all’anno? 
«Le ho già risposto. E’ tutto scritto».
A dire il vero nella delibera approvata in giunta non c’è scritto il suo compenso ma solo un richiamo molto complesso al contratto nazionale del settore pubblico. 
«Sarà tutto trasparente, vedrete».
Romeo era anche il personaggio che accompagnava la sindaca Raggi sul tetto questa estate, quando vennero “beccati” dal fotografo portoghese Frederico Duarte Carvalho mentre confabulavano. In seguito si suppose che lo staff della sindaca fosse stato avvertito di un’indagine in corso in Campidoglio da Raffaele Marra. Il caposegreteria della sindaca è stato in seguito giubilato insieme a Daniele Frongia dopo l’intervento di Beppe Grillo in seguito all’arresto di Raffaele Marra. Lui si è spintaneamente dimesso, Frongia rinunciò all’incarico di vicesindaco rimanendo però assessore allo sport.
Dopo la decisione del M5S di astenersi al Senato sullo ius soli i vip che sostengono il M5S non hanno detto una parola. Che abbiamo imparato da Di Maio e Di Battista l'arte della fuga quando le cose vanno male?
GIOVANNI DROGO
Uno spettro si aggira per l’Italia, è quello degli artisti “di sinistra” che hanno abbracciato il MoVimento 5 Stelle. Spettro nel vero senso della parola perché dopo la figuraccia del M5S sullo ius soli personaggi del calibro di Fiorella Mannoia, Sabrina Ferilli, Antonello Venditti o Claudio Amendola sono scomparsi. Eppure fino a non poco tempo fa invitavano a votare per il MoVimento “tradendo” la sinistra e il PD

L’imbarazzo di Fiorella Mannoia per il M5S

C’è chi, come Claudio Santamaria, si è impegnato in prima persona nella campagna elettorale di Virginia Raggi. Eppure dopo l’uscita della sindaca di Roma che ha riscoperto l’accoglienza zero nemmeno lui si è fatto sentire. Se non altro per dare un consiglio alla sindaca. E invece niente. Non una parola per commentare la posizione del M5S sullo ius soli, così come nessuno ha commentato le uscite di Luigi Di Maio contro le ONG e i taxi del mare in combutta con gli scafisti. Forse la questione non è di alcun interesse.
mannoia ius soli m5s - 1
Fiorella Mannoia aveva definito il M5S “l’unica opposizione in Parlamento”.
Oppure è solo imbarazzo? Così sembra di capire dalla risposta data dalla Mannoia ad un fan che le chiedeva di dire qualcosa sulla posizione del MoVimento riguardo la legge sullo ius soli. Ma questo imbarazzato silenzio dei vip di sinistra che sono passati a sostenere il M5S ci dice forse qualcosa di più. Ovvero che forse che dietro l’adesione di tanti Vip emigrati dalla sinistra al 5 Stelle c’era più la convenienza di stare con il nuovo che avanza per opportunismo che altro. Eppure una parolina su Di Maio che dice “pensiamo ai disoccupati, non allo ius soli” non sarebbe stata poi così male.
guzzanti ius soli m5s - 1
Curiosamente l’unica che ha criticato le uscite anti migranti del M5S e di Di Maio è stata Sabina Guzzanti. Ma era l’11 maggio e la Guzzanti ancora non ha detto nulla sulla scelta del MoVimento di astenersi al Senato sullo ius soli. Eppure che il M5S non veda di buon occhio i migranti e i loro figli non è una novità dell’ultima settimana.

Il silenzio dei cantanti del M5S

Poi c’è il caso di Fedez, lui non è mai stato di sinistra anzi: ha scritto l’inno del partito di Beppe Grillo. Qualche tempo fa Fedez ha spiegato che i 5 Stelle sono “gli unici che si oppongono al sistema“. Oggi invece è troppo impegnato ad organizzare il suo matrimonio e a sfoggiare l’ennesimo outfit per preoccuparsi di quello che succede in Parlamento. Forse non votare lo ius soli è un modo per essere contro il sistema e contro la Kasta rappresentata dai bambini “stranieri” nati in Italia. Magari quegli adolescenti che cantano le sue canzoni ai suoi concerti.
dado ius soli m5s - 1
Il comico Dado, già protagonista al raduno pentastellato di Palermo, invece se la prende con la Raggi. Ma solo per la decisione di imporre il limite di 30 chilometri orari sulla Cristoforo Colombo. Dado insomma si occupa dei problemi concreti della Capitale, non di quisquilie come il piano per sgombrare i campi Rom, l’accoglienza dei migranti o la legge sullo ius soli.
Ieri da Bruno Vespa il vicepresidente della Camera ha fatto di tutto per giustificare la posizione del suo partito sullo ius soli. Ma l'unico dato di fatto è che sul tema dei diritti civili il M5S ha scelto posizioni di destra. Non male per un partito che si definisce post-ideologico per non doversi mai scoprire e perdere qualche elettore
GIOVANNI DROGO
Ieri il Vicepresidente della Camera Luigi Di Maio era ospite a Porta a Porta. Da Bruno Vespa Di Maio ha parlato del MoVimento 5 Stelle e del posizionamento politico del partito dopo il voto al Senato sullo ius soli. I portavoce pentastellati in questi giorni hanno un bel da fare a giustificare l’astensione del M5S. Astensione che in realtà non è una novità perché anche durante il passaggio alla Camera il partito di Grillo si è astenuto sulla legge di riforma della cittadinanza.
PUBBLICITÀ

Perché il M5S vuole discutere lo ius soli “a livello europeo”

Si può dire che i 5 Stelle sono stati coerenti con la scelta di non votare lo ius soli temperato alla Camera. Ma in realtà le cose sono più complesse. Perché nel 2013 il MoVimento aveva presentato una proposta di riforma alla legge che introduceva una forma temperata di ius soli e anche quello che viene definito ius culturae. Quella proposta, firmata anche da Luigi Di Maio, è stata assorbita nel testo unico che poi è stato votato alla Camera. Inoltre nel preambolo il M5S spiegava che lo ius soli temperato era una legge “idonea a produrre inclusione sociale”. Ieri invece Di Maio ha detto che ritene che «Il tema debba essere portato in un pacchetto di provvedimenti che deve interessare le istituzioni europee». Insomma il M5S vuole solo rimandare.
m5s ius soli di maio bruno vespa porta a porta - 2
Ma c’è di più, perché al Senato il voto di astensione equivale al voto contrario. Quindi il M5S è riuscito a fare il capolavoro di votare contro la sua stessa proposta di legge (perché le due proposte sono davvero uguali). Ieri da Vespa Di Maio ha detto che durante la campagna delle amministrative si dovrebbe parlare di acqua pubblica, dei trasporti, delle strade e della pubblica amministrazione. Ma così dicendo ha dimostrato due cose: la prima è che ha usato il voto in Senato per fare campagna per le amministrative. La seconda è che votando contro il M5S ha quindi voluto mandare un segnale ai propri elettori. Di Maio dimentica però che – anche se ci sono le amministrative – i lavori del Senato non si possono certo fermare.
m5s ius soli di maio bruno vespa porta a porta - 1
L’esito della votazione alla Camera sullo ius soli il 13 ottobre 2015
Di Maio ha detto che la votazione in Senato è stata inutile perché il testo non è passato per la commissione. In realtà il Senato ha votato per “incardinare” la legge. La Commissione ha rinunciato a lavorare sugli emendamenti perché ne sono stati presentati 80 mila. La vera discussione nel merito per approvare la legge si farà dopo i ballottaggi. Chissà che in quell’occasione, non essendoci più la campagna per le amministrative, il M5S possa cambiare idea.

Cosa significa essere post-ideologici

La questione del voto sullo ius soli però ha portato allo scoperto l’intrinseca debolezza della posizione “post-ideologica” del M5S. Al Senato il MoVimento ha votato come la Lega e si è opposto allo ius soli trovandosi sulla stessa sponda dei neofascisti di Casa Pound e Forza Nuova che manifestavano fuori da Palazzo Madama. Di Maio sostiene che loro non sono né di destra né di sinistra, ma alla Camera due anni fa il MoVimento non ha presentato emendamenti e non è mai intervenuto in commissione sul testo. C’erano le amministrative anche all’epoca?
m5s ius soli di maio bruno vespa porta a porta - 3
Così parlò Riccardo Nuti all’epoca del voto alla Camera
Contrariamente a quanto cinguettò Riccardo Nuti nel 2015 la platea dei possibili beneficiari di una nuova legge sulla cittadinanza è di circa 800 mila persone nell’immediato e di quasi sessantamila ogni anno per gli anni a venire. Il M5S avrebbe preferito dare la cittadinanza a tutti gli stranieri residenti in Italia? Dovrebbe prima spiegare cosa c’entra con con una legge che riguarda il diventare italiani “per nascita”. Ma anche così non se ne viene fuori, perché nel 2015 il M5S preferì non consultare gli elettori certificati tramite una votazione sul blog.
ius soli all'italiana
Lo ius soli nei paesi europei (Corriere della Sera, 16 giugno 2017)
Tutta la sceneggiata del M5S sullo ius soli più che dimostrare che il 5 Stelle è un partito post ideologico, come vorrebbe farci credere Di Maio, è un partito confuso. Di Maio ha detto che nel MoVimento coesistono i valori di destra e sinistra che al suo interno «c’è chi si rifà ai valori di Enrico Berlinguer, chi a Giorgio Almirante, e chi invece a quelli dei leader della DC». All’occorrenza il M5S pesca a destra, a sinistra e al centro. Nel caso della legge sullo ius soli il MoVimento ha attinto ai valori di destra, come spesso fa quando si parla di diritti civili. E per non farsi mancare nulla ha riscoperto – in extremis – anche un certo fervore europeista. Ma è proprio la richiesta di un accordo europeo (da parte di un partito che è alleato con l’UKIP di Farage) che dimostra che post-ideologico è solo un termine per nascondere il vuoto pneumatico del MoVimento.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...