sabato 11 febbraio 2017

Strano a dirsi ma quelli che si lamentano che il nostro Paese è al 77° posto della classifica della libertà di stampa sono i primi ad andare a manganellare sul web un giornalista quando pubblica qualcosa che non piace al MoVimento
GIOVANNI DROGO
Il prevedibile epilogo della surreale vicenda delle “confessioni” smentite, ritrattate e negate dell’assessore all’Urbanistica di Roma Capitale Paolo Berdini è quello che sta succedendo ora sul profilo Facebook del giornalista della Stampa Federico Capurso, autore dello scoop che ieri ha portato Berdini rimettere il mandato nelle mani della sindaca, dimissioni che però sono state respinte “con riserva” da Virginia Raggi. Ieri la Stampa ha pubblicato la prova audio che dimostra che quella conversazione è effettivamente avvenuta e che Berdini era a conoscenza che Capurso fosse un giornalista – precario – della Stampa.
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Quelli che definisco “merda” e “pennivendolo” Federico Capurso

In un’intervista a RaiNews Berdini aveva definito Capurso “mascalzone”, “un poveretto”, “povero disgraziato”, “piccolo delinquente” accusandolo di aver contraffatto l’intervista, di non essersi presentato come giornalista e di aver origliato un colloquio privato (fatti questi che sono poi stati successivamente smentiti proprio dalla pubblicazione della registrazione). Non stupisce quindi che il popolo pentastellato si sia riversato sul profilo personale di Capurso per rincarare la dose di legnate, il tutto ovviamente in nome della libertà di stampa e della necessità di far avanzare il nostro Paese dal famigerato 77° posto della ben nota classifica che viene solitamente utilizzata dagli attivisti a Cinque Stelle per dimostrare che in Italia i giornalisti sono al servizio della Ka$ta. Alcune avvisaglie c’erano già state nei commenti sulla pagina Facebook de La Stampa ma sul profilo privato del giornalista le cose sono degenerate.
insulti capurso m5s
Il giornalista viene definito “spione” e qualche persona di buon cuore gli augura senza troppi problemi di morire per rendere l’Italia “un po’ meno merda”.
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La questione dei 15 euro ad articolo sembra stare parecchio a cuore alla masnada di manganellatori che, sulla scorta di quanto detto da Berdini (ma siamo sicuri che anche senza l’input dell’assessore il moto peristaltico si sarebbe messo in moto).
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La notizia che un assessore della giunta Raggi è solito confidare al primo che passa segreti e opinioni personali sul lavoro della giunta e sulla vita privata della sindaca e soprattutto il fatto che Berdini conosce ed è amico del procuratore Paolo Ielo passa in secondo piano, anzi diventa “gossip” a livello della stampa scandalistica.
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Alcuni di questi difensori del diritto alla privacy non hanno alcun problema a insinuare che Capurso abbia fatto “certi servizietti a prelati viziosi” perché è chiaro che uno che scrive articoli del genere la laurea (dalle informazioni del profilo Capurso ha studiato Scienze della Comunicazione all’Università Pontificia Salesiana) se la deve essere per forza comprata in qualche modo. Se non altro questi Cinque Stelle sono onesti, non si sono fatti fermare dal fare certe basse insinuazioni dal fatto che Capurso sia un uomo: finalmente raggiunta la parità di genere degli insulti, ora anche un maschio (se ha studiato dai preti) può essere accusato di indulgere in certe pratiche “sconce”.
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I benaltristi chiedono come mai non abbia fatto la stessa cosa con Sala (e allora il PD???), qualcuno ha pudore di scrivere “merda” e preferisce ricorrere al simpatico emoji della cacca, un altra invece accusa Capurso di essersi venduto “per un piatto di lenticchie” e di aver distrutto il futuro dei nostri figli (perché nessuno pensa i bambini???).
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C’è quello che fa il magnanimo ma poi non si trattiene più e scrive “mai vista una montagna di merda così tutta assieme”. Mentre una giovane donna con le lacrime agli occhi scrive che avrebbe voluto fare la giornalista ma dopo aver scoperto che è un mestiere senza dignità rivendica con orgoglio il suo ruolo di moglie e madre di figli “studiosi e onesti”. Ce n’è anche per Myrta Merlino (già finita nel ciclone dei ridicoli boicottaggi pentastellati) colpevole di aver intervistato Capurso dopo la prima smentita di Berdini e definita per questo “cerebrolesa”
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Il Popolo della Rete ha anche validi analisti che dopo una rapida analisi del profilo di Capurso (poco meno di 200 amici e quasi tutte i post con privacy settata su privato e non su pubblico) sentenzia che Capurso è un troll, un fake. Un’analisi dei comportamenti web talmente raffinata che alla Stampa se la sognano e che ci fa scoprire che nel mondo di certi pentastellati la trasparenza si traduce in una visione panottica della società.
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Non poteva mancare quello laureato in giornalismo alla prestigiosa Università della Strada (l’unica senza servizietti) che ci spiega la deontologia professionale senza tenere conto due cose: in primo luogo che è perfettamente legale registrare – anche di nascosto – una conversazione, in secondo luogo che quando qualcuno, come ha fatto Berdini, ti accusa di esserti inventato tutto e di essere “sceso al secondo scantinato” della cronaca, è addirittura doveroso pubblicare la registrazione che dimostra che Paolo Berdini mente. Chissà che ne pensa di questi attacchi alla libertà di stampa e ad un giornalista l’onorevole – e giornalista – Luigi Di Maio che nei giorni scorsi ha stilato una lista di proscrizione dei giornalisti “sgraditi” al MoVimento riportando in auge la simpatica rubrica dal titolo “Il giornalista del giorno” dove lo Staff del M5S schedava e metteva alla gogna, con nome, cognome e foto i giornalisti “ostili” al partito di Grillo. Perché bisogna ricordare che il cattivo rapporto degli attivisti del MoVimento con i giornalisti viene da lontano e da un posto ben preciso.

Romano e la Gardini mandano fuori di testa il nominato in RAI dai 5 stel...

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Campidoglio, l'assessore Berdini non vuole essere commissariato e non va alla riunione di Giunta. Di Maio: "Mi interessa che si lavori"

Pubblicato: Aggiornato: 
BERDINI
di essere commissariato, di avere qualcuno che lo tenga sotto controllo. Per questo almeno oggi si è tenuto a distanza e le sue dimissioni irrevocabili non sono da escludere in alcun modo. Non è un caso se a Palazzo Senatorio si lavora anche a un piano b, cioè alla ricerca di un nuovo assessore.
Sul fronte giudiziario è ancora tutto in bilico. Dopo Salvatore Romeo, è il turno di Raffaele Marra. Sulla vicenda delle nomine in Campidoglio non si ferma l'attività istruttoria della Procura di Roma che intende ascoltare nei primi giorni della settimana, forse già martedì, l'ex capo del personale del Comune di Roma indagato, in concorso con la sindaca Virginia Raggi, per la promozione del fratello Renato a responsabile della direzione del dipartimento Turismo del Campidoglio. Nei suoi confronti l'accusa è di concorso in abuso d'ufficio. L'interrogatorio avverrà in una saletta del carcere di Regina Coeli dove Marra e' detenuto dal 16 dicembre scorso per un'altra vicenda giudiziaria in cui i pm di piazzale Clodio gli contestano il reato di corruzione assieme all'immobiliarista Sergio Scarpellini.
Con l'ex braccio destro di Raggi, gli inquirenti cercheranno, in primo luogo, di ricostruire i vari passaggi che hanno portato alla nomina del fratello. In base agli atti raccolti dagli inquirenti l'ex braccio della sindaca avrebbe, infatti, inviato via chat alla Raggi gli 'screenshot' dei regolamenti amministrativi necessari alla nomina rassicurandola sulla regolarità della promozione dopo che la sindaca, parlando con lui via chat, si era lamentata di non essere stata avvertita in merito all'aumento di stipendio. Non è escluso che nel corso dell'interrogatorio gli inquirenti possano chiedere a Marra se fosse a conoscenza delle polizze sulla vita sottoscritte da Romeo, ex capo segreteria politica della sindaca, e di cui due hanno come beneficiario proprio il primo cittadino. Molto di ciò che in Campidoglio succederà la prossima settimana dipenderà dalla parole di Marra.

Renzi sceglie: “Non ci sto a fare il bersaglio per mesi”. Verso il Congresso?

Pd
ANSA/UFFICIO STAMPA PALAZZO CHIGI-TIBERIO BARCHIELLI
Le dimissioni del segretario per aprire la fase congressuale. Lunedì la Direzione
 
Per aprire la fase congressuale anticipata il segretario deve dimettersi. Oppure occorre che egli venga sfiduciato dall’Assemblea nazionale. Dato che questa ipotesi è irrealistica, l’unico modo per andare al Congresso passa per le dimissioni di Matteo Renzi.
Anche scontando un problema d’immagine, è una strada che il segretario sembra ormai disposto a percorrere (“Non ci sto a fare il bersaglio per mesi”, dice) – nel caso in cui dal dibattito della Direzione di lunedì 13 (ore 15 –diretta streaming, liveblogging e instant comments su Unità.tv) dovesse emergere una contrarietà all’ipotesi di elezioni a giugno.
L’ex premier sembra ancora preferire questa seconda ipotesi ma avrebbe deciso di non forzare. Nessuna “conta” elezioni sì-elezioni no, dunque.
Ma ci si aspetta comunque un dibattito chiaro, sul punto: e ad oggi la previsione è che l’orientamento prevalente sia il no ad elezioni. Il documento di 40 senatori (della maggioranza del Pd) lo ha fatto capire chiaramente. Senza dire della irremovibile contrarietà della sinistra di Bersani, con la quale Renzi non vuole rompere. Il governo Gentiloni andrebbe dunque avanti, magari con un Pd più unito – un elemento che il premier non vedrebbe certo di cattivo occhio – e con più tempo per cercare un difficile accordo su una legge elettorale “omogenea” come ha chiesto Sergio Mattarella e messo per iscritto dalla Corte Costituzionale nelle motivazioni della sentenza sull’Italicum.
Il segretario però non accetta l’altro “no” della minoranza, quello al congresso nei prossimi mesi. Bersani vorrebbe il Congresso in autunno, comunque dopo le amministrative di giugno: “Ma non possiamo stare fermi senza far niente”, è il ragionamento di Renzi. Niente elezioni? Bene, allora andiamo a un definitivo chiarimento interno con il Congresso.
In tempi rapidi: inizio aprile la Convenzione (sulla base dei risultati delle votazioni dei circoli), e poi  ai primi di maggio le primarie. Con un indispensabile corollario: tutte le componenti sono tenute a rispettare il risultato congressuale e il segretario eletto (anche se nessuno può escludere che all’indomani delle primarie riparta la giostra delle polemiche interne: non fu così dopo la vittoria di Renzi dell’8 dicembre 2013?).
Tempi stretti, dunque, ma praticabili. Piattaforme chiare, candidature libere (ovviamente Renzi, ma contro chi non è ancora chiaro: Speranza? Emiliano? Rossi?), campagna nei circoli, primarie aperte. Ci potrebbero essere altri candidati dell’attuale maggioranza? Tutto è possibile. Allo stato, però, non pare probabile.
Intanto il partito verrebbe “retto” dal presidente dell’Assemblea nazionale, e verosimilmente presidente dell’apposita commissione congressuale, ma chiaramente in tandem con il segretario dimissionario.
A tre giorni da una riunione della Direzione chiamata comunque a segnare un passaggio cruciale nella vicenda del Pd, la febbre potrebbe scendere dinanzi alla prospettiva di un Congresso chiamato a sciogliere tutti i nodi. Al Nazareno lo sperano.

Proprio non ci arrivano. I grillini sono incapaci di comprendere concetti politici. Sono alla paleo politica. Anzi alla non politica.

La Senatrice Lezzi (della setta a cinque stelle) trova normale che ogni settimane sul blog di Grillo venga indicato un giornalista che secondo loro deve essere indicato come pagato. Non si rende proprio conto che questa affermazione è l'essenza di un regime totalitario. Il fascismo ed il nazismo ed il comunismo hanno fatto proprio questo.

Ecco l’eredità di Renzi. Chi la nega è in malafede

Massimo Giannini in un monologo audiovideo su Repubblica parla oggi delle nuove tasse da mettere per accogliere le richieste della Ue e lascia cadere incidentalmente come fosse verità scontata l’­“eredità negativa lasciata da Renzi”. Assomma a questa eredità fiscale anche quella delle ammucchiate da prima repubblica. 





Ma tasse e ammucchiate da Prima Repubblica sono 'eredita del "No" al referendum. L'avevamo detto e ci avevate dato degli apocalittici. L'avevamo detto ed è successo. L'avevamo detto e ora, massima disonestà intellettuale per un pubblicista, Giannini schieratosi caldamente per il “No” non se ne assume la responsabilità. Tasse, ammucchiate e Prima Repubblica le dobbiamo anche a lui. Invece di lamentarsi dovrebbe fare almeno la faccia contenta. Ha avuto ciò che voleva, no?

E siccome purtroppo la mistificazione ci assedia insieme all’incapacità di trarre le conclusioni oneste di un intero ciclo politico.

Varrà ricordare un paio di dati, veri questa volta, sull’eredità renziana:





PIL: +1,6% dal primo trimestre 2014 al terzo trimestre 2016.

Rapporto deficit/pil: -0,4% dal primo trimestre 2014 al secondo trimestre 2016.

Debito pubblico: -43 miliardi (agosto e settembre 2016).

Consumi famiglie: +3% dal primo trimestre 2014 al secondo trimestre 2016.

Occupati totali: +656mila da febbraio 2014 a settembre 2016.

Occupati dipendenti permanenti: +487mila da febbraio 2014 a settembre 2016.

Inattivi: -665mila da febbraio 2014 a settembre 2016.

Tasso disoccupazione: -1,1% da febbraio 2014 a settembre 2016.

Tasso disoccupazione giovanile: -5,9% da febbraio 2014 a settembre 2016.

Produzione industriale: +2,3% da febbraio 2014 a settembre 2016.

Export: +7,4% da febbraio 2014 a settembre 2016.

Bilancia commerciale: +18,3 mld da febbraio 2014 a settembre 2016.

Fiducia consumatori: +13,4% da febbraio 2014 a settembre 2016.

Procedure di infrazione con la Commissione Ue: -47 (da 119 a 72) da febbraio 2014 a settembre 2016.

Adozione decreti attuativi: +32% da febbraio 2014 a settembre 2016.




Ecco i maggiori provvedimenti adottati dal governo Renzi: 

Jobs Act (riforma del lavoro)

Stop Irap e taglio dell'Ires

80 euro per 11 milioni di italiani che guadagnano meno di 1.500 euro al mese

80 euro in più al comparto sicurezza

Riduzione del canone Rai da 113 euro del 2015 a 100 euro del 2016 che diventeranno 95 nel 2017 e si paga direttamente nella bolletta della luce.

Abolizione della tassa sulla prima casa, Imu e Tasi

Abolizione di Equitalia, dal 30 giugno 2017

Stop tasse agricole, 1,3 miliardi in meno

Processo civile telematico

Banda ultralarga e crescita digitale

Unioni civili

Divorzio breve

Norme per la non autosufficienza Legge sul 'Dopo di noi'

Riforma Terzo settore e servizio civile

Legge contro il caporalato

Bonus bebè di 960 euro l'anno per ogni nuovo nato per 3 anni

Aumento pensioni minime da un minimo di 100 euro a un massimo di 500

Riforma del cinema e audiovisivo

Riforma La Buona scuola

18App, 500 euro per tutti i giovani che compiono 18 anni nel 2016

Legge contro i reati ambientali

Reato di depistaggio

Tetto stipendi Pubblica amministrazione a 240 mila euro. 2014-2016




Fonte:
Agi

venerdì 10 febbraio 2017

Questo è proprio un grande giornalista. Mai sentito parlare o scrivere su Renzi dicendo che ha fatto una sola cosa buona. E pensare che i grillini fanno le liste di proscrizione dei giornalisti. E Renzi cosa dovrebbe fare?

Direzione Pd, ansia da blitz elettorale: diario di solitudine e smania di Renzi, lontano dal Nazareno (con le casse senza un euro)

Pubblicato: Aggiornato: 
RENZI
Stampa


Nell’immagine, evocativa, c’è tutto: “Blitz Kongress”, così lo chiamano nella cerchia stretta di Renzi. Congresso lampo, subito, di qui a maggio. Poi voto a giugno: il 21 la data cerchiata in rosso. Al massimo a settembre, il 24, altra data segnata in rosso e spifferata oggi come più probabile, nello stesso giorno in cui si gioca il destino di Angela Merkel nelle elezioni tedesche. Per convocare il congresso subito, l'ex premier ha intenzione di presentarsi dimissionario alla direzione di lunedì. Da giorni l'ipotesi è sul tavolo ma, secondo Unità.tv, la decisione sarebbe pressoché presa. 
Conta l’animus, in queste ore. Prima di tutto. Ed è il sogno e, al tempo stesso, l'incontenibile pulsione verso la blitzkrieg, una guerra lampo: "Non ci sto a fare il bersaglio per mesi". Renzi la immagina e la pianifica, questa guerra, anche lontano da occhi indiscreti. A Roma sta poco, sempre meno. Il vero quartier generale è a Firenze. Da qualche settimana ha allestito un nuovo ufficio, molto lussuoso e sorvegliato (con discrezione) in uno storico palazzo di Borgo Pinti, vicino il Four Season, luogo molto amato dall’amico Marco Carrai e dove alloggiò Benjamin Netanyahu nel corso della sua visita in Italia. Quelli del partito sono a Roma, con le loro lentezze, gli uffici polverosi, che tanto lo innervosiscono. Pare che l’ex premier non ami il secondo piano del Nazareno, dove è l’ufficio del segretario, con tutto quel via vai di dipendenti che vanno a prendere il caffè alle macchinette. Anche a Roma vorrebbe un ufficio appartato e con l’accesso per pochi, al terzo piano. Le stanze sono state identificate: sono quelle dove faceva i suoi conti l’ex tesoriere Luigi Lusi. 
Lotti, Bonifazi, pochi altri entrano a borgo Pinti. Dove si parla di liste elettorali e di facce nuove. E di come fare una nuova campagna elettorale, nel senso di risorse, soldi, perché una campagna senza soldi è come andare in guerra senz’armi. E le casse del Pd sono vuote, anzi svuotate. Da due anni alle federazioni non viene girato il famoso due per mille. Perché quello del 2015 è stato usato per l’Unità, quello del 2016 per il referendum con la sua dispendiosissima campagna. Ora non c’è un euro. Anche gli inesauribili granai emiliani si stanno svuotando: cassa integrazione per i dipendenti a Modena e Ferrara, Bologna tiene ma con i salti mortali. E chissà, pensano i maliziosi, se c’è qualche nesso tra le casse vuote e gli articoli di giornali ispirati su Sposetti e il patrimonio del Pd. 
L’animus racconta questo. Rancore, ansia di rivalsa, astinenza da potere. Nelle ultime ore, in parecchi hanno chiamato o mandato messaggi a Bonifazi, con la domanda: “quale è la linea?”. La risposta è stata fulminea, come il blitz immaginato. Risposta in tre punti: 1) elezioni a giugno, perché non si può usurare l’unico leader che abbiamo; 2) non è in atto nessun tentativo serio su legge elettorale e dunque le prossime due settimane servono a certificare incapacità Parlamento a trovare accordo; 3) presa di distanza dal governo che con manovrina su accise ci fa perdere il consenso. 
Ecco, il Pd vissuto come un fardello, il governo come figlio di nessuno, l’Italia meno frequentata del Four Season. Quando un sondaggio ha dato Gentiloni più su di Renzi, l’ex premier ha chiesto a fedele Fanucci di fare la lettera critica sul Tesoro, per criticare la prossima manovrina. In privato, lo chiama così, con un certo fastidio per una fotocopia che pensa non gli somigli per niente: “Il governo Gentiloni-Padoan-Calenda”. Ha fatto capire insomma che, se ci prova, Gentiloni rischia il trattamento Letta. Poi ha invitato Padoan in direzione, o meglio alla kermesse di lunedì, per fargli illustrare i risultati del governo, il precedente non l'attuale, tanto per ribadire chi comanda.
Frenetico, rapporto quasi compulsivo con il telefono, incapace di staccare. L'ex premier chiama, mentre va a prendere i figli a scuola, per dire che “sì, chissenefrega, devo sbattermene delle correnti, torno a fare Renzi, alzo il livello, giro l’Europa, parlo con Macron, nel frattempo facciamo una legge elettorale e si vota nel 2018”. Poi, quando a Roma vede il nuovo cerchio magico Rosato-Guerini-Orfini, indossa i panni del notaio dei capi-corrente. E, dopo una giornata di riunioni, va al Tg1 su una linea concordata, finendo in un servizio in mezzo tra l’apertura su Gentiloni e la reazione di Speranza. “Un panino! Vi rendete conto! È finito in un panino” bofonchiava Anzaldi in Parlamento, sempre più critico sulla comunicazione gestita dai suoi allievi, che però non hanno superato il maestro: “A me Rutelli m’avrebbe cacciato se fosse finito in un panino”.
Tattiche, strategie, politicismo puro. Con Orfini dice che questa legge o quella per me pari sono, l’importante è fare presto. Oppure no, dice a Orlando e Franceschini, ho capito che la forzatura è impossibile, andiamo più avanti così mi rimetto in sintonia col paese. L’unica certezza è il congresso subito, per fregare la sinistra. Una trappola, così la imbriglia nel congresso, e così quando tenta il blitz ha sterilizzato la scissione, perché a quel punto diventa incomprensibile. I sindaci si sono attaccati a telefono sul numero del Nazareno: “Come facciamo a fare le amministrative e le liste con un congresso tra i piedi?”. La risposta è: non vi preoccupate, a maggio è finito.
Perché la verità è che, poiché conta l’animus più di tutto, l’animus rivela una insofferenza profonda per la sinistra. Per D’Alema, Bersani, Speranza, anche Emiliano: “Dopo le elezioni gli faremo vedere” dicevano i renziani prima del 4 dicembre. Ha vinto il No, e il film non è stato proiettato. Uomo solo senza comando, Renzi sta toccando con mano che, tutto sommato, il mondo – di cui si è sentito il centro – va avanti senza di lui. Il governo piace più del precedente, al voto non ci vuole andare neanche Grillo, che ha abbassato molto i toni e nemmeno il grosso del Pd. Anche nei ristoranti di Roma, fedeli indicatori dello stato del potere di turno, i posti a tavola dei renziani diminuiscono. Fino a dicembre si vedevano tavolate con venti persone, bicchieri in mano con un bianco freddo a piazza di Pietra. Ora attorno a Lotti i commensali, rimasti fedelissimi in Parlamento si contano sulle dita di una mano: Magorno, De Menec, Morani. Mentre agli ordini della Boschi sono rimasti Donati, Fanucci, la Fregolent, Marco Di Maio. Per gli altri, la fedeltà in verità si chiama paura, perché i capilista sono rimasti bloccati. E le liste vere si fanno a Borgo Pinti.

Libero è proprio un grande giornale. Per il popolo bue.

Da «Bastardi islamici» a «pacifesse»: 7 prime pagine di Libero che hanno fatto discutere

prime pagine di libero

Non solo offese a Virginia Raggi

Sta facendo molto discutere oggi la prima pagina del quotidiano Libero per il titolo sessista a doppio senso su Virginia Raggi «Patata bollente», un’allusione alla presunta relazione tra la sindaca di Roma e l’ex capo della sua segreteria politica Salvatore Romeo (per la cui nomina la prima cittadina è accusata di abuso d’ufficio).   prima pagina libero

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...