sabato 4 febbraio 2017

Alla radical chic Sofia Ventura, della quale non consiglio la lettura di alcuno dei suoi libri, mi può spiegare cosa è Trump se Renzi è narciso. Povera Italia universitaria. Ecco perché siamo all'ultimo posta nelle classifiche mondiali.

Trump sconfitto, sospeso il divieto di ingresso ai musulmani

Trump sconfitto

La sospensiva si applica su tutto il territorio nazionale 

Trump sconfitto nel mondo più pesante dall’inizio della sua presidenza. Un giudice federale, nominato da George W Bush, ha infatti sospeso il decreto esecutivo che blocca temporaneamente l’ingresso delle persone provenienti da 7 Paesi musulmani giudicati a rischio terrorismo. Il cosiddetto muslimban non è più in vigore negli Stati Uniti, dopo la decisione di James Robart, magistrato della Corte di distretto occidentale di Washington. La sospensiva del giudice federale si applica a tutto il territorio nazionale, un blocco che l’amministrazione Usa ha subito dichiarato di voler contestare nei tribunali. James Robart ha accolto la richiesta di cancellazione dei ministri della Giustizia di Washington e Minnesota, due esponenti democratici, che hanno contestato il danno immediato e irreparabile posto dal decreto esecutivo ai cittadini residenti negli Stati americani. Il giudice Robart ha inoltre sospeso la sospensione del programma di accoglienza, e il divieto di ingresso a tempo indefinito per i rifugiati siriani.

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Come rimarcato da Politico, il portavoce della Casa Bianca, Sean Spicer, ha diffuso due comunicati diversi in merito alla bocciatura del cosiddetto muslimban: nel primo la decisione del giudice Robart è definita scandalosa, nella seconda versione del testo l’aggettivo così polemico è stato cancellato. Nel comunicato l’amministrazione Trump rimarcava come il presidente sia autorizzato costituzionalmente a proteggere i cittadini americani, l’obiettivo del decreto esecutivo, e come cercherà di annullare la decisione di Robart nei gradi successivi. La sconfitta subita dal presidente segue la parziale vittoria ottenuta nella Corte di distretto del Massachusetts, che aveva fatto scadere la sospensiva sul muslimban decisa nei giorni precedenti. La battaglia legale sul decreto esecutivo sull’immigrazione sembra destinata a proseguire con grande intensità nel prossimo futuro, e ragionevolmente andrà alla Corte Suprema. Il New York Times ha riferito come le principali compagnie aeree americane abbiano dato l’ordine di accettare passeggeri dai 7 Paesi musulmani dopo la sospensiva del giudice Robart. La decisione delle compagnie di volo statunitensi è un ulteriore segnale delle perplessità dell’imprenditoria americana in merito al decreto esecutivo di Donald Trump. Diverse compagnie, come Apple, Facebook, Google, Starbucks o Amazon, avevano dichiarato la loro opposizione al muslimban, anche in ragione della penalizzazione economica che un simile divieto avrebbe potuto provocare. Il decreto esecutivo è stato firmato da Trump il 27 gennaio scorso, e la misura restrittiva sull’immigrazione ha provocato numerose situazioni di caos agli aeroporti, con persone provenienti dai 7 Paesi a rischio terrorismo fermate dalla polizia. Secondo il dipartimento di Stato circa 60 mila visti di ingresso concessi a cittadini di Iran, Iraq, Libia, Somalia, Siria, Sudan e Yemen sono stati cancellati dopo il divieto di viaggio stabilito da Trump. Diversi giudici hanno applicato misure restrittive del decreto, ma la sentenza di James Robart è la prima che rileva un chiaro profilo di incostituzionalità del cosidetto muslimban. La causa promossa dallo Stato di Washington citava tra i problemi causati dal decreto i danni economici provocati alle aziende o all’università.

Marattin umilia il marketing bluff dei 5 stelle per la Shoah nel Giorno ...

Marco Travaglio consiglia a Virginia Raggi di dimettersi, ma nemmeno una settimana fa faceva il garantista chiedendo di poter "leggere le carte" e ci spiegava che le dimissioni potrebbero favorire i palazzinari delle Olimpiadi
GIOVANNI DROGO
Ieri, mentre Virginia Raggi veniva interrogata dai PM della Procura di Roma e i giornali pubblicavano la notizia che la sindaca di Roma risulta essere beneficiaria di una polizza vita da trentamila euro stipulata da Salvatore Romeo, Marco Travaglio stava scaldando i muscoli per prepararsi all’ennesima acrobazia dialettica che avrebbe pubblicato sul Fatto Quotidiano. Travaglio è infatti indubitabilmente il difensore d’ufficio a mezzo stampa della Sindaca a Cinque Stelle ma oggi è riuscito nella difficile impresa di smentire sé stesso di una settimana fa.
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Affinità e divergenze tra il Marco Travaglio “garantista” e quello che “consiglia” le dimissioni di Virginia Raggi

Da quando Virginia Raggi è stata indagata Marco Travaglio sta vivendo momenti difficili. Il 24 gennaio il direttore del Fatto era ospite di Lilli Gruber ad Otto e Mezzo, quel giorno era appena stata battuta la notizia che la Raggi aveva ricevuto un avviso di garanzia. La prima domanda della Gruber a Travaglio fu molto semplice: faceva bene la sindaca a dichiararsi serena o avrebbe invece fatto meglio a rassegnare le dimissioni? Domanda alla quale Travaglio, svelando al mondo insospettabili qualità di garantista spiegava che prima di chiedere qualcosa era meglio vedere le carte e che in ogni caso la vicenda riguardava solamente:
la liceità o meno della nomina di un dirigente comunale da parte del sindaco e da parte dell’assessore al commercio Meloni che hanno deciso di nominare il fratello di Marra. Che non è il “fratello di Marra” preso da chissà dove ma è un signore che da vent’anni è vigile urbano e da qualche tempo fa il dirigente dei vigili urbani e che a un certo punto ha fatto domanda per diventare Comandante dei vigili urbani (e pare che avesse qualche titolo per farlo). Gli hanno detto “il capo del Personale è tuo fratello, non metterci in imbarazzo” lui ha detto “va bene e allora?”. E allora gli hanno dato una nomina meno prestigiosa.
Qualche giorno dopo, in un editoriale pubblicato il 26 gennaio dal titolo “Raggi Lader” Travaglio tornava sul meccanismo della nomina del fratello di Marra ed era abbastanza sicuro di come fossero andate le cose, al punto che non riteneva necessario fare nessuna domanda alla sindaca. La sindaca non voleva “essere lapidata per il conflitto d’interessi” e ha dissuaso lei Renato Marra dal candidarsi a comandante dei vigili.
Tanto più che, proprio per evitare di essere lapidata per il conflitto d’interessi fra i due Marra, la sindaca aveva dissuaso Renato (da 20 anni nei vigili urbani) dal candidarsi a comandante, ma non poteva stroncargli la carriera dappertutto. Invece nella chat Raggi-Frongia-Romeo-Raffaele Marra, quest’ultimo non chiede nulla alla sindaca per il fratello: è lei che s’informa sulle norme e le procedure corrette da seguire e sullo stipendio connesso alla promozione. Ma i giornaloni, notoriamente “garantisti”, danno già per scontato che la sindaca è colpevole.
Oggi invece, 3 febbraio, Travaglio cambia idea e pubblica un editoriale dal titolo abbastanza esplicito “O spiega o lascia”. Per il Fatto è necessario che la sindaca spieghi a Travaglio personalmente e agli elettori quale esatta trafila ha portato alla nomina di Renato Marra. Il direttore del Fatto chiede infatti che la Raggi spieghi se abbia autonomamente deciso la nomina o se sia stato Marra (che ricordiamolo è stato nominato capo del Personale dalla Raggi e che attualmente è in galera) ad imporla in qualche modo. Curiosamente è proprio quello che tutti, PM e “giornaloni” in testa, chiedono alla Raggi dal 24 gennaio. Travaglio ci ha messo solo una settimana a riuscire a trovare le parole adatte per farlo:
Quale esatta trafila ha portato Renato Marra, fratello del più noto Raffaele alla direzione Turismo del Comune? La decisione di promuoverlo in quella fascia dirigenziale (dalla 1 di dirigente dei Vigili alla 3 del Turismo), dopo averlo indotto a ritirare la domanda per una promozione più ambiziosa (a comandante della Polizia municipale, fascia 1), fu una sorta di “risarcimento danni” deciso autonomamente dalla Raggi, come prevede il Regolamento comunale che non contempla concorsi né raffronti con i curricula di altri pretendenti? O fu in qualche modo imposta o estorta dal tentacolare fratello, capo del Personale?
Ad Otto e Mezzo di martedì 24 gennaio Travaglio riteneva che non avesse ragione d’esistere una richiesta di dimissioni e spiegava che di “saper benissimo come si fa a far indagare qualcuno, lo si tempesta di denunce”, lasciando successivamente intendere che tutta l’inchiesta sulla Raggi non avesse fondamento dal momento che la Raggi è costantemente presa di mira dalle denunce e questo lo può dire perché lui “ha sempre saputo distinguere tra i fatti, i reati, le condanne e gli scandali”. Fatto sta che Travaglio spiegando che prima di poter dire alcunché sulla vicenda era necessario leggere le carte aveva riservato alla sindaca un trattamento particolare rispetto ad altri personaggi politici finiti sotto indagine. Questo però per Travaglio non significava essere garantisti perché la presunzione d’innocenza – spiegava – è una questione inerente al procedimento processuale e prescinde da ogni valutazione politica per la quale non è necessario attendere l’esito del processo. Ad eccezione che si tratti della Raggi, evidentemente. Ad Otto e Mezzo un Travaglio evidentemente esasperato ad un certo punto spiegava che Sallusti “non conosceva le cose” e non sapeva i fatti e riassumeva in cosa consiste davvero tutta la vicenda:
Stiamo parlando di un dirigente dei vigili urbani, che chiede di diventare Comandante dei Vigili Urbani. Per evitare di essere accusati  – questi qua – di fare favori al fratello del Capo del Personale gli dicono “no la tua domanda a comandante dei vigili urbani non te la diamo”. Gli hanno detto “levati perché potremmo essere accusati di conflitto d’interessi”. Cioè questo qua che è da vent’anni ai vigili urbani deve suicidarsi perché suo fratello è diventato capo del personale?
Travaglio oggi però chiede alla Raggi:
Quella scelta è compatibile con la versione da lei fornita all’Anticorruzione capitolina, e cioè che aveva deciso da sola, o gli interventi del tentacolare capo del Personale (anche sull’assessore al Commercio, Meloni) sono andati al di là delle normali chiacchiere di corridoio?
E oggi conclude la sua ricostruzione dei fatti arrivando a chiedere quello che fino alla settimana scorsa non avrebbe mai fatto: le dimissioni della sindaca a prescindere dalla veridicità delle accuse a suo carico. Travaglio scrive addirittura che è quello che “da un po’ di tempo le suggeriamo” cosa che in tutta onestà il Fatto Quotidiano – e Travaglio in particolare – non ha mai fatto. Inoltre non risulta che Travaglio abbia potuto leggere le “carte” perché di quello che è successo durante l’interrogatorio di ieri ancora non si sa nulla. Come mai il direttore del Fatto ha abbandonato la strada garantista?
Se no, faccia quel che da un po’di tempo le suggeriamo, a prescindere dalla veridicità delle accuse a suo carico: si dimetta, anche per non aver commesso il fatto.
Ed è incredibile perché ad Otto e Mezzo Travaglio rispondeva “certo” a Sallusti che gli chiedeva “se uno è indagato per falso [ovvero l’accusa mossa nei confronti della Raggi] giustamente continuare a fare l’amministratore” e anche perché – sempre nell’editoriale del 26 gennaio – Travaglio scriveva che le dimissioni (o l’ipotesi di “autosospensione”) non avevano alcun senso perché avrebbero fatto il gioco di palazzinari e ladroni che sarebbero tornati alla carica:
Ma, in questa vicenda, garantismo e giustizialismo non c’entrano nulla. Le balle spaziali su riti immediati, autosospensioni e patteggiamenti preparano il terreno alla caduta della giunta che, se arrivasse entro il 1° marzo, consentirebbe ai nemici interni ed esterni della Raggi di riportare i romani al voto in giugno. Dopo, sarebbe tardi e Roma verrebbe ricommissariata per almeno un anno. Inutile dire che, via la Raggi, il commissario di governo annullerebbe subito il No alle Olimpiadi, restituendo i soliti noti alle solite greppie. Per chi non l’avesse capito: dimissioni fa rima con ladroni.
Ah già, Travaglio riteneva all’epoca che le eventuali dimissioni della Raggi avrebbero dato il via libera al ritorno della candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024. Cosa che come abbiamo spiegato non è assolutamente possibile. Non avrebbe fatto meglio il direttore del Fatto a chiedere invece come mai Romeo risulta ancora iscritto al M5S?

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Trattata da Mentana con riguardo ne esce come la descrive Sgarbi.

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Vincenzo De Luca su Luigi Di Maio: 'Doveva fare il carpentiere'

Cuperlo e Franceschini sono anche peggio di D'Alema. Con quella faccia di mediatori/negoziatori tanto bellini da vedere. A noi piangono i rottamatore. Ha ragione Recalcati. I giovani ed il nuovo contro i padri padrone.

Orfini a Franceschini: “Col premio di maggioranza alla coalizione moriamo”

Legge elettorale
Il presidente Pd Matteo Orfini durante la tavola rotonda nella seconda giornata dell'assemblea degli amministratori del Pd a Rimini, 29 gennaio 2018
ANSA/ FABRIZIO PETRANGELI
E sulla scissione dice: “Se qualcuno ha deciso di farla a prescindere non lo convinci. Ma se voteremo a fine legislatura, si può fare il congresso; se votiamo prima, si possono fare le primarie”
 
Con il premio di maggioranza alla coalizione “si rischierebbe di mettere completamente in crisi la vocazione maggioritaria del Pd: se si torna alle coalizioni, allora si rischia di tornare anche a Ds e Margherita”. Intervistato dalla Stampa, il presidente del Pd Matteo Orfini si dice “radicalmente in dissenso con la proposta di Franceschini” che ieri aveva proposto primarie di coalizione, per evitare la scissione nel Pd, e premio di maggioranza alla coalizione e non più alla lista come punto di mediazione con Forza Italia e Ncd sulla legge elettorale.
Un’idea che porterebbe ad uno scenario assurdo, secondo il presidente del Partito democratico. “Ma veramente vogliamo proporre al Paese una coalizione da Alfano a Pisapia? Senza alcuna omogeneità politica, cosa potrebbe rappresentare? E dubito che Alfano e Pisapia accetterebbero”, chiosa Orfini.
Il ragionamento del presidente dem è diretto a proteggere il futuro governo dall’assedio dei piccoli partiti. “Il 40% è un obiettivo non impossibile, – spiega – ma se non si raggiunge si cerca un’alleanza in Parlamento in cui ciascuno pesa per quello che ha preso. Mentre con le coalizioni si dà uno strapotere ai partitini“. Ed è qui che si creano le problematiche maggiori per poter chiudere la questione legata alle regole del gioco. Orfini sostiene che “non ci sia un rallentamento”, ma di fatto la discussione sulla legge elettorale – e dunque sulla corsa al voto – pare in stagnazione. “Capiamo se si riesce a costruire un accordo sulla legge elettorale con almeno un pezzo delle opposizioni, – dice l’esponente dem cercando di descrivere l’approccio da intraprendere da qui in avanti – a quel punto si approvi rapidamente, anche con l’aiuto della fiducia se serve, e si vada a votare. Se però non emerge una soluzione non vedo come si possa andare avanti”.
In merito alla scissione, “se qualcuno ha deciso di farla a prescindere non lo convinci. Ma se voteremo a fine legislatura, si può fare il congresso; se votiamo prima, si possono fare le primarie, ovviamente di partito: questo impegno dovrebbe far considerare chiuso il tema scissione”, dichiara Orfini. Sul candidato, “se i candidati saranno quelli oggi in campo, Renzi mi sembra il più forte“.

La Lombardi inguaia la Raggi. É lei la Gola profonda che ha parlato per prima delle polizze

Roma
Virginia Raggi, la candidata M5s a sindaco di Roma (S), con Roberta Lombardi durante una iniziativa al Tufello, Roma, 5 marzo 2016. ANSA/GIUSEPPE LAMI
Ormai è conclamata la degenerazione della guerra fratricida tra la Lombardi e la Raggi
 
Roberta Lombardi, convocata come testimone per il dossier fabbricato oltre un anno fa contro Marcello De Vito, sarebbe stata la prima a parlare dell’esistenza delle polizze che Salvatore Romeo avrebbe intestato alla sindaca di Roma, Virginia Raggi. Lo scrive oggi il Corriere che aggiunge così altra benzina sull’incendio che sta bruciando la Capitale.
Sì perché i guai della sindaca ormai stanno diventando troppi. Comincia ad essere un’impresa solo il tentativo di elencarli. Per esempio, ancora non è chiaro il motivo per cui Romeo le intestò a Raggi ben due polizze sulla vita – per un totale di 33 mila euro – con causale “relazione sentimentale”. Mentre nel filone ancora più insidioso che riguarda Raffaele Marra, accusato con lei di abuso d’ufficio per la nomina del fratello Renato, la situazione non è migliore. Raggi dice di aver deciso in prima persona, ma le conversazioni della chat WhatsApp dicono altro.
Una realtà che è difficile decifrare. Sempre il Corriere oggi riporta alcune dichiarazioni che la sindaca avrebbe reso durante le 8 ore di interrogatorio avvenuto due giorni fa e in cui ha ricostruito l’iter della procedura che ha portato Renato Marra a capo del dipartimento Turismo del Campidoglio.
Secondo il quotidiano la sindaca “non ha potuto negare il rapporto stretto con suo fratello: «Raffaele conosceva bene la macchina amministrativa, mi ha guidato, spiegato il funzionamento di norme e regolamenti». Nelle chat emerge la sua rabbia quando viene attaccata «perché dovevi dirmi che Renato ha ottenuto un aumento da 20 mila euro», mostrando di essere all’oscuro:«Questo dimostra che non volevo dargli un indebito vantaggio». In altri momenti appare in difficoltà.«Sicuramente ne abbiamo parlato, ma alla fine sono io ad aver firmato». Ma non convince. Allora si riserva di chiarire meglio i passaggi con la memoria. Anche perché il rischio è che si aggravi l’accusa di falso che le è stata contestata proprio per aver dichiarato all’Anticorruzione del Campidoglio: «Marra non ha partecipato ad alcuna fase istruttoria»”.
La Raggi ha chiarito alcune delle posizioni anche davanti alle telecamere di Bersaglio Mobile, con Enrico Mentana. In particolare ha ribadito di non aver ricevuto alcun beneficio dalle polizze e che soprattutto “Beppe Grillo si fida di me“. E meno della Lombardi, diremmo, viste le indiscrezioniche lo descrivono furente nei confronti della grillina che aveva definito Marra “il virus che aveva infettato il Movimento”.

Uno dei più grandi intellettuali non conformisti italiani. Ce ne sono pochi. Quasi nessuno.

Recalcati: “Renzi resta il figlio giusto, osteggiato dai padri padroni”

Pd
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“La scissione? Narcisismo di élite, minoranze che non vogliono tramontare”
 
Professor Massimo Recalcati, il Pd è passato dal trionfo alle Europee del 2014 all’addio di Renzi a Palazzo Chigi dopo la sconfitta referendaria di dicembre. Quanto c’è di politico e quanto di psicologico in questo comportamento? 
«La sinistra ha più facilità alla lotta che al governo. È qualcosa che appartiene senza dubbio alla sua storia, al suo Dna, alla sua identità. La sinistra non viene al mondo per amministrare ciò che esiste ma per negarlo e progettare un volto nuovo del mondo. La critica minoritaria gli appartiene più dell’attitudine a gestire una vittoria. La critica ostinata caratterizza la pubertà e il velleitarismo adolescenziale. Nel porre al Pci il problema della responsabilità del governo, Berlinguer intendeva far fare alla sinistra italiana un passaggio evolutivo che era sinora mancato».
Gli eventi attuali significano che la sinistra non è mai cresciuta?
«È un tema che ritroviamo in Renzi: la critica ostinata che rigetta l’accordo e la mediazione è diventata una caricatura solo ideologica dell’inclinazione alla lotta. Anche Berlinguer, come ha mostrato in modo toccante Veltroni, si è incagliato sulle sabbie che separano il massimalismo dal riformismo. C’è qualcosa che viene avvertito come contro -natura nella sinistra al governo ».
Un esito ineluttabile?
«Il problema è come tenere insieme il sogno e la prova di realtà, la lotta e le responsabilità di governo. Renzi ha provato a non dissociare questi due elementi solo apparentemente contraddittori. In questo senso lo considero un passaggio essenziale nella storia della sinistra italiana».
In questa chiave, come legge le divisioni interne e le ultime minacce di scissione?
«Ho citato in un articolo recente le dimissioni di Enzo Bianchi dalla carica di Priore del Monastero di Bose. Nietzsche affermava che la saggezza più grande dell’uomo è quella di saper tramontare al momento giusto. È quello che ha fatto Bianchi: un passo indietro, lasciare che i figli assumano le loro responsabilità, sostenere chi viene dopo di noi con lealtà anche se una differenza profonda ci separa, abbandonare il proprio posto di guida per consentire l’ingresso di energie nuove. Le pare che stia accadendo questo?».
Renzi si è dimesso da palazzo Chigi. Cosa arriverà dopo, allora?
«Il dramma della politica italiana, non solo della sinistra, è il fallimento dell’eredità. Renzi ha provato a correggere questo sintomo consentendo a una nuova generazione di farsi avanti. I figli anziché ereditare il testimone dai padri sono osteggiati dai padri. Accade anche a destra con Berlusconi e Grillo. I figli non allineati coi loro padri-padroni vengono sistematicamente espulsi. Ogni scissione, quando sono in gioco diverse generazioni, viene al posto di un lutto mancato: si invoca lo spettro della scissione invece di saper tramontare».
Cosa è oggi la sinistra? 
«Per me sinistra significa priorità della giustizia sociale, difesa del valore del lavoro, visione trasformatrice della realtà, concezione solidaristica della vita, capacità di cambiamento, apertura all’incontro, concezione non immobile dell’identità, capacità di contaminazione, curiosità, spirito critico, disponibilità a parlare la lingua dell’Altro, rinuncia a concezioni totalitaristiche della storia e della vita, difesa dei più deboli, rifiuto del mito del successo individuale».
Roba da far tremare le vene ai polsi. A quale destino va incontro? 
«Il destino della sinistra consiste oggi nella difesa dell’Europa. Il che significa anche recupero della centralità del suo rapporto con i giovani per sottrarli all’ipnosi reazionaria e allo stordimento diffuso generato dal sistema dei consumi».
C’è spazio per un partito di sinistra fuori dal Pd? 
«Ogni tentativo di creare una sinistra a sinistra del più grande partito di sinistra si è sempre rivelato un fallimento. Non solo nel senso del ridimensionamento elettorale, ma della litigiosità infinita dei fratelli che, dopo aver lasciato la casa del padre, restano senza radici, senza luogo, senza storia. Narcisismo insopportabile delle élite minoritarie. Riduzione della politica a testimonianza di una coerenza purista staccata dalla realtà. Bertinotti in nome di questa coerenza fece cadere il miglior governo del Dopoguerra».
A proposito, l’Ulivo oggi è una suggestione, una forma di auto-rassicurazione o una prospettiva?
«Tra la mediazione, l’integrazione e la scissione io scelgo sempre la mediazione e l’integrazione. L’Ulivo per me esiste già ed è il Pd».
Renzi ha sbagliato tutto o è diventato il capro espiatorio di un’Italia che non funziona da trent’anni?
«Renzi è stato un vento vitale in un campo di morti. Ha radunato speranze di cambiamento che hanno attraversato non solo il Pd ma l’intero Paese. È l’unico senso che ho attribuito alla fantomatica e stramba idea del Partito della Nazione che non è mai esistito. Ha messo in moto energie, progetti riformisti, ha ridato alla politica dignità senza lasciare il campo all’antipolitica di Grillo. È dovuto partire col piede sbagliato – la rottamazione – perché si è confrontato con un muro che non aveva intenzione di consentire il giusto avvicendamento generazionale. Ha commesso errori che gli sono costati cari».
Il più grave? 
«Tra tutti la riforma della scuola. Era partito benissimo ridando centralità a una questione emarginata dai governi di destra. Poi ha fatto tutto troppo in fretta. Ma Renzi resta il vero nemico di tutte le forze conservatrici e populiste perché incarna autenticamente questa speranza».
Lei riesce a immaginarsi un nuovo Renzi diverso dal passato? Capace di unire e non di rottamare? 
«L’ex premier resta la sola possibilità per arginare l’ondata reazionaria che attraversa il nostro tempo. Sono certo che abbia fatto tesoro delle sconfitte. Ascoltare di più senza perdere la sua forza. Recuperare il rapporto con i giovani. Continuare a testimoniare la necessità del rinnovamento dando più spazio alle radici. Liberarsi dall’abito dell’uomo di potere che media e avversari vogliono cucirgli addosso. La sua determinazione, il coraggio, il ritmo del suo passo lo rendono ancora ai miei occhi il figlio giusto. Deve però scegliere meglio chi ascoltare: la vera lealtà non esclude la critica».

venerdì 3 febbraio 2017

Vedo Raggi davanti a Mentana. Una cosa straziante. Sgarbi ha proprio ragione.

http://www.unita.tv/focus/sgarbi-fa-il-verso-alla-raggi-lho-detto-a-beppe/

Vedere la Raggi inTV è una pena. Ma come è possibile mettere a sindaco di Roma una così? Una vera vergogna.

La Raggi e le relazioni pericolose tra i “quattro amici al bar”

Roma
The statue of the wolf in Campidoglio capitol Hill, Rome, Italy , 29 ottobre 2015 
ANSA/MASSIMO PERCOSSI
Attorno al nucleo Marra-Romeo-Frongia la sindaca ha provato a costruire (al momento senza riuscirci) il nocciolo duro della sua amministrazione
 
Mentre va avanti l’inchiesta per abuso di ufficio e falso in atto pubblico a carico di Virginia Raggi, emergono una serie di dettagli sui rapporti tra la sindaca e i suoi fedelissimi, a cominciare dall’ex capo della sua segreteria politica. Quel Salvatore Romeo che nel gennaio 2016 le intestò due delle sue polizze sulla vita. Dei due contratti, uno, senza scadenza, ammonta a 30mila euro; l’altro, di tremila euro, scadrà nel 2019.
Le polizze sono strumenti di investimento finanziario che Romeo utilizza da anni e che, secondo la testimonianza di Raggi e di altri militanti del M5S sentiti nei giorni passati dagli inquirenti, non sono mai stati usati per gestire i soldi del movimento. Le causali indicate su ogni polizza da Romeo sono spesso evidentemente farlocche, come nel caso in cui indica come ‘figlia’ una donna nove anni più giovane di lui, e farebbero riferimento, anche nel caso di Virginia Raggi, alla sfera di rapporti personali.
Gli inquirenti che hanno controllato nelle settimane passate i flussi finanziari legati a tali contratti sono certi si tratti dei risparmi di Romeo, ma non è dato sapere per quale motivo l’ex capo della segreteria politica del Campidoglio avesse scelto, qualche mese prima di assumere la prestigiosa carica, la sua futura ‘datrice di lavoro’ per intestarle 33mila euro in polizze. La nomina a capo della segreteria politica, arrivata per Romeo nell’estate del 2016, gli ha triplicato lo stipendio: da 39 mila euro lordi l’anno, a 110 mila, scesi successivamente a 93 mila dopo l’intervento dell’Autorità nazionale anticorruzione.
Le assicurazioni sulla vita, stipulate da Romeo dal 2000 a oggi, ammontano oggi a 132mila euro complessivi: i beneficiari sarebbero più volte cambiati nel costo degli anni. Al momento ci sarebbero una decina di intestatari tra i quali, oltre a Virginia Raggi che avrebbe preso il posto dell’ex M5S Alessandra Bonaccorsi nel gennaio del 2016, altri colleghi, dipendenti comunali e militanti pentastellati.
Raggi anche davanti ai pm ha dichiarato di non sapere nulla di tali assicurazioni e, in ogni caso, chi indaga conferma che non ne avrebbe tratto alcun vantaggio economico se non in caso di morte di Romeo. Proprio per questo, la vicenda non apre nuovi fronti giudiziari per la sindaca, ma di certo non la aiuta a uscire dalla bufera di critiche che ormai le arrivano da più fronti, compreso almeno un pezzo del Movimento cinque stelle. I magistrati non hanno, per il momento, intenzione di sentire Salvatore Romeo, ma interrogheranno quanto prima Raffaele Marra indagato, insieme alla sindaca, per la nomina a capo del dipartimento Turismo di suo fratello Renato.
Nel corso dell’interrogatorio di ieri, a Raggi è stato chiesto anche dei suoi rapporti con Romeo, Raffaele Marra, e l’ex vicesindaco Daniele Frongia, protagonisti insieme a lei, della chat ‘quattro amici al bar’, alcuni messaggi della quale sono parte del fascicolo. Di Marra, scelto dalla sindaca come capo del personale, Raggi ha spiegato che gli era stato presentato da Romeo, e lei lo aveva scelto perché lo riteneva in grado di “aprirle le porte del Campidoglio”: una persona in grado di capire il Comune, i suoi regolamenti e tutte le organizzazioni.
Romeo, militante M5S della prima ora, era una persona alla quale Raggi era legata da stima e militanza comuni che avevano contribuito a creare un’amicizia. Infine uno strettissimo rapporto lega ancora oggi, la sindaca a Daniele Frongia: un’amicizia consolidata nei due anni da consiglieri comunali ai tempi della giunta di Ignazio Marino. Quando Raggi ha scelto di candidarsi alle ‘comunarie’ M5s, avendo contro tra gli altri l’ex capogruppo ed ex candidato sindaco pentastellato Marcello De Vito, Frongia non ci ha messo molto a decidere di fare il tifo per lei, diventando, in campagna elettorale il collega, amico e confidente, che le è rimasto vicino anche quando il fronte pro-Raggi ha cominciato a scricchiolare, i malumori interni al movimento sono cresciuti e in tanti hanno iniziato a mostrarsi scontenti dell’operato della prima cittadina.

La Raggi proprio come Scaiola. Quando ripeto che i grillini sono peggio dei peggiori dei democristiani nessuno vuole credermi.

Virginia Raggi e la polizza di Salvatore Romeo come «regalo a mia insaputa»

virginia raggi

Le parole della sindaca di Roma in una pausa dell'interrogatorio davanti ai pm della Procura di Roma

«Un regalo a mia insaputa». Virginia Raggi avrebbe definito così la polizza sulla vita di Salvatore Romeo di cui la sindaca la Roma sarebbe diventata beneficiaria a gennaio 2016, sei mesi prima che Romeo venisse promosso in Campidoglio (con aumento di stipendio) a capo della segreteria politica della prima cittadina.

LEGGI ANCHE > Virginia Raggi beneficiaria della polizza vita di Salvatore Romeo. «Appreso stasera, sono sconvolta»


VIRGINIA RAGGI BENEFICIARIA DI UNA POLIZZA VITA DI SALVATORE ROMEO

Virginia Raggi (indagata per abuso d’ufficio e falso per la nomina del fratello di Raffaele Marra) avrebbe parlato di «carineria» in una pausa del lungo interrogatorio di ieri davanti ai pm della Procura di Roma. Ne hanno parlato Simone Canettieri e Mauro Evangelisti sul Messaggero:
Devo chiamare Beppe. Durante la pausa dell’interrogatorio con i pm, in cui Virginia Raggi ha scoperto che non sarebbe stata una passeggiata come aveva sempre detto a tutti rimuovendo il problema, la sindaca di Roma ha sentito la necessità di fare una telefonata, di mandare messaggi. Magari non ha parlato direttamente con Grillo, però ha voluto informare i vertici del movimento che poteva spiegare tutto, che Salvatore Romeo, l’uomo a cui avrebbe poi triplicato lo stipendio, l’aveva beneficiata della polizza da 30mila euro senza informarla, «una carineria». A mia insaputa, è stata la formula usata, una definizione però che già a Scajola non portò molta fortuna. Dopo mezzanotte, concluso l’interrogatorio fiume, c’è chi assicura che si sia sentita in video conferenza con la Casaleggio. Nel frattempo si sono alzate voci di dimissioni imminenti, ma lei con un viso a metà tra l’inconsapevole e l’allegro ha spiegato che andrà avanti.
(Foto: ANSA / GIORGIO ONORATI)

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...