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ROMA  «Luca Zaia mi ha un po’ spiazzato». Roberto Maroni, governatore della Lombardia, non nasconde il suo disappunto per la scelta che il suo collega del Veneto ha fatto («a mia insaputa», ammette a denti stretti) di chiedere che il Veneto diventi una regione a statuto speciale. Con una proposta di legge statale di iniziativa regionale, Zaia ha chiesto infatti una modifica dell’articolo 116 della Costituzione con l’inserimento del Veneto tra le regioni a statuto speciale.

Appena 24 ore prima, domenica notte, commentando i dati sulla forte affluenza alle urne, Roberto Maroni aveva pronunciato parole di distensione: «Non faccio la competizione con Luca Zaia - aveva detto - sono felice perché adesso possiamo unire le forze per fare la battaglia del secolo».

Ma ieri mattina le strade di Maroni e Zaia si sono divise prima ancora di cominciarla quella “battaglia del secolo”: il governatore lombardo orientato al dialogo col premier e il ministro dell’Economia nell’ambito dell’articolo 116 che prevede maggiori poteri alle regioni più virtuose; il presidente veneto che invece ha avanzato una richiesta al governo una richiesta che il sottosegretario agli Affari Regionali Gianclaudio Bressa ha bollato subito come «irricevibile, essendo di competenza del Parlamento».

E ieri mattina, non a caso, c’è stato un incontro riservato tra il governatore lombardo e il segretario della Lega. Matteo Salvini, neppure lui informato della intenzione di Zaia, è apparso preoccupato per la improvvisa strategia veneta che rischia di metterlo in difficoltà perchè al Sud - dove da tempo il leader del Carroccio sta cercando sponde politiche per le prossime elezioni - non vedrebbero certo di buon occhio la scelta di una Regione leghista tra le più ricche del Paese che trattiene per sé quasi tutte le entrate fiscali.

Maroni, lei che ha vissuto in prima persona alla fine degli anni Novanta l’esperienza (fallita) della secessione, come giudica ora la scelta di Zaia?
«Mi ha un po’ spiazzato, non era concordata questa mossa, l’ho appresa stamattina. Domani leggerò la sua proposta di legge e capirò se sarà possibile un percorso comune».

Perché Zaia ha fatto questa mossa, come dice lei, «non concordata»?
«Francamente non lo so, se per vicende interne alla Lega o per mostrare i muscoli. Però ogni risposta è lecita perchè è indubbio che ora c’è un problema all’interno della Lega. E un altro con il governo».

Dice di essere stato spiazzato: in che senso?
«Difficile fare una battaglia insieme ora: Bressa mi ha telefonato stamattina (ieri, ndr) dicendomi chiaro che se io gli avessi chiesto lo statuto speciale per la Lombardia non sarebbe stata possibile alcuna trattativa con il governo, visto che la materia è di competenza del Parlamento. Io speravo di fare una battaglia comune, e invece a questo punto non ci faranno sedere allo stesso tavolo. Un conto è andare a trattare in due, un altro andarci da soli. E poi anche per un motivo strettamente tecnico».

Quale?
«Al contrario di quella di Zaia che parlava in modo vago di nuove forme di autonomia senza citare le risorse, la mia richiesta referendaria faceva esplicito riferimento all’articolo 116, il che mi impedisce ora di chiedere lo statuto speciale. Anche se volessi allinearmi al governatore veneto, non potrei farlo. Non potrei seguirlo sulla sua strada. Ecco perchè mi ha un po’ spiazzato».

Cosa chiederà al governo?
«Che alla Lombardia venga riconosciuto lo status di regione “speciale” (da non confondersi con lo “statuto speciale”), al fine di ottenere più soldi con i meccanismi del residuo fiscale, il tutto nel quadro dell’unità nazionale».

Spiazzato lei, e in difficoltà Salvini, in particolare con
le regioni del Sud?

«Non parlo per Salvini. Certo è che trasformarsi in una regione a statuto speciale, come ad esempio la Valle d’Aosta, significa chiudersi a tutte le altre regioni perché, così facendo, si tengono per sé tutti i soldi».