lunedì 14 agosto 2017

L'azienda e il Comune pensano alla dismissione degli immobili per evitare il concordato preventivo. Ovvero, la stessa soluzione prospettata l'estate scorsa dal dg Rettighieri poi fermato e costretto alle dimissioni
ALESSANDRO D'AMATO
Una piccola vicenda che riguarda ATAC ci dà oggi la comprensione di come a Roma la situazione sia disperata, ma non seria. In queste ore la municipalizzata romana dei trasporti sta valutando una sorta di piano alternativa al concordato preventivosponsorizzato dal dimissionario Bruno Rota. Questo prevede, racconta oggi Il Messaggero, la vendita di alcuni degli immobili di proprietà di ATAC.

ATAC: l’ideona della Giunta Raggi è la stessa di un anno fa

In queste ore la società di via Prenestina sta di nuovo cercando di sondare questo terreno. Il quotidiano romano sostiene che i tre immobili di maggior valore siano, ovviamente, gli ex depositi di piazza Ragusa, piazza Bainsizza e via Alessandro Severo (nel quartiere San Paolo). Il valore complessivo stimato in circa 150 milioni di euro. A questi si aggiungono quelli di Portonaccio e Trastevere. Il provvedimento originario autorizzava l’azienda di via Prenestina «ad alienare i beni immobili mediante trasferimento a un Fondo comune di investimento immobiliare».
L’operazione non è semplice. Gran parte di questi immobili andrebbero bonificati prima di essere messi in vendita, per altri, affinché siano appetibili sul mercato, invece occorrerebbe destinazioni d’uso diverse dal punto di vista urbanistico. Inoltre, su alcune di queste sedi ci sono le ipoteche delle banche, per via dell’ultimo prestito chiesto per salvare Atac dall’agonia. La situazione rimane più ingarbugliata anche mai.
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I conti di ATAC (Il Messaggero, 13 agosto 2017)
Il debito di 1,3 miliardi di euro costringe l’azienda a prendere una decisione netta. Anche l’ipotesi del prestito ponte, spiegano fonti interne del Campidoglio, sembra una strada molto complicata da intraprendere. Sullo sfondo rimane il presente e i decreti ingiuntivi che bussano alla porta della municipalizzata. Da quelli di Roma Tpl (45 milioni di euro) a quelli di Cotral e Trenitalia per Metrebus (circa 90). Se dovessero diventare attuativi, Atac rischia il blocco dei conti correnti. E quindi la morte.

Le idee buone sono quelle vecchie

Ora bisogna fare un passo indietro allo scorso settembre. All’epoca, quando l’assessora ai trasporti Linda Meleo e il presidente della Commissione Enrico Stefàno facevano blitz nelle rimesse per dimostrare chissà cosa, c’era lo stesso problema di liquidità. E anche – sorpresa sorpresa – la stessa soluzione:
Da fine luglio non arrivano materiali nelle officine. E dopo un mese e mezzo le scorte si sono esaurite. Risultato: i meccanici interni non sanno più come intervenire. E lasciano le navette ferme in garage. La paralisi si sarebbe potuta evitare? Forse sì. Almeno ne era convinto l’ex direttore generale di Atac, Marco Rettighieri. «Per avere liquidità, bastava sbloccare il piano di dismissione degli immobili non strumentali», ha detto la settimana scorsa nella conferenza stampa d’addio.
Un’operazione che avrebbe potuto portare nelle casse dell’azienda fino a «160 milioni di euro», come si legge nella relazione del 24 giugno. Solo attraverso l’alienazione di cinque immobili dismessi, prevista dal piano industriale 2015-2019, sarebbero arrivati 98,2 milioni. Ma la giunta M5S ha bloccato tutto. E starà alla nuova governance trovare alternative in grado di rimettere in sesto il servizio di superficie.
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Le inchieste su ATAC
Ovvero, nel settembre scorso la giunta M5S ha bloccato quel piano di dismissioni che oggi vuole attuare per dare ad ATAC la liquidità necessaria per evitare di ricorrere al concordato preventivo.

La nomina di Simioni e l’ANAC

Non è meraviglioso tutto ciò? A questo si va ad aggiungere la contestazione della nomina di Paolo Simioni. L’uomo che, per scelta di Colomban, sostituirà Rota e assommerà le cariche di presidente, amministratore delegato e direttore generale, potrebbe trovarsi presto a dover fronteggiare un motivo di incompatibilità.
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Secondo la legge Madia del 2013 e alla luce di parere dell’Anac dello scorso gennaio le cariche di presidente e amministratore delegato devono essere scisse da quelle di direttore generale. In più, a differenza di quanto fatto con Rota, non c’è stato nessun bando pubblico per la sua scelta. Per questo l’opposizione in Campidoglio ha annunciato esposti e ricorsi.

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