domenica 29 ottobre 2017

venerdì 27 ottobre 2017 20:42 

Filippo Nogarin indagato e il lodo Peppa Pig

Il sindaco M5s di Livorno Filippo Nogarin è indagato per turbativa d’asta: lo ha annunciato lo stesso primo cittadino di Livorno con un post su facebook in cui afferma di aver saputo dell’indagine “ieri sera: mi è stato infatti recapitato a casa un atto con cuiil Pm ha chiesto la proroga di 6 mesi per le indagini su quanto avvenuto il 27 febbraio del 2017. Indagini di cui non ero a conoscenza – scrive Nogarin – ma che, da quanto si legge, sono state prorogate fino al 28 marzo 2018″. “Da quanto ho potuto ricostruire – aggiunge il sindaco – si potrebbe trattare della gara indetta a inizio anno dal Cda di Spil, Società porto industriale partecipata al 61,4% dal Comune di Livorno, per l’individuazione di un advisor legale, che seguisse le procedure per la richiesta di concordato preventivo. Una gara che, alla fine, è stata annullata. Io non faccio parte del Cda di Spil, potrebbe trattarsi di un atto dovuto a seguito di un esposto. Buon lavoro ai magistrati. Come sempre – conclude – vi terrò informati dei futuri sviluppi”. Nogarin è indagato anche nell’inchiesta sulla società dei rifiuti Aamps.
filippo nogarin indagato youtube twitter
La parte divertente della vicenda è che l’account twitter del sindaco di Livorno non ha postato la notizia dell’indagine ma in compenso ha pubblicato una serie di tweet in cui il suo account su Youtube mostra cosa sta vedendo. Ovvero ha aggiunto una serie di video di cartoni animati a una playlist di Youtube, tra cui la celeberrima Peppa Pig. Anche in altre occasioni era successa la stessa cosa.
filippo nogarin indagato youtube twitter 1
È probabile  che Nogarin non sappia cosa stia accadendo ma che il suo account twitter, collegato a quello di Youtube, sia utilizzato dai figli del sindaco che ovviamente non sanno che l’account Twitter è collegato.
Paola Giannone si rivolge al TAR del Lazio dopo aver partecipato alla call del M5S per l'assessorato. La decisione a breve
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Lunedì al Tar del Lazio verrà depositato il ricorso di Paola Giannone, ex candidata al primo municipio per il MoVimento 5 Stelle, contro la nomina di Margherita Gatta e Rosalba Castiglione. Giannone, membro di RomaPartecipata, ha partecipato alle selezioni per entrare in giunta ma poi è stata scartata nella call riservata agli iscritti del MoVimento capitolino che poi ha portato all’approdo di Gatta e Castiglione in giunta. Racconta Repubblica Roma:
Ora Giannone vuole vederci chiaro sull’intero iter, chiederà che siano i magistrati amministrativi ad accendere un faro sulla call riservata agli iscritti al Movimento capitolino da cui è stata esclusa. E, perché no, sul cv “fallato” presentato da Margherita Gatta: impiegata di Inarcassa, si era presentata in Comune da dirigente. Al ricorso sarà allegata anche la risposta che la prima cittadina ha fornito alla richiesta di accesso agli atti di Paola Giannone. Una replica che ha lasciato l’amaro in bocca anche per quanto riguarda la scelta dell’assessora alla Casa Rosalba Castiglione, iscritta al Movimento ma non a quello romano.
«Avendo ritenuto che le candidature pervenute non rispondessero ai requisiti ricercati per l’individuazione di un’assessora — scrive la sindaca Virginia Raggi — la selezione si è svolta all’esterno, come preannunciato nella call. Ritengo che la nomina di un’appartenente al M5S al ruolo di assessore sia comunque da considerarsi un valore aggiunto al governo della città a cui guardare con fiducia e a cui assicurare il massimo e incondizionato sostegno».
conti comune paola giannone
I conti del comune di Roma (Il Messaggero, 28 ottobre 2017)
Le due parti si vedranno davanti al TAR. Da una parte il Campidoglio, attraverso i legali dell’avvocatura capitolina, ribadiranno che la procedura di selezione indetta dalla prima cittadina non era vincolante. «I soggetti incaricati della ricerca — ricorda Raggi nella missiva spedita a Giannone — si riservano la possibilità di non procedere alla selezione di alcun candidato». Dall’altra ci sarà l’attivista, nella più classica riproposizione di Davide contro Golia, a sostenere che la nomina di un assessore è un atto di alta amministrazione e non di natura politica. Che la call, insomma, non poteva essere elusa.

Questo è quello che vorrebbe fare Zaia in Veneto. Voglio ricordare che i maggiori sperperi negli ultimi venti anni vengono dalle regioni ed il numero maggiore di inquisiti non è in parlamento ma nelle regioni. Posso fornire una ricca bigliografia. In Lombardia il costo standard è più basso perché sono più alte le mazzette che pagano i fornitori ai Leghisti ed a Formigoni quando governano.

Sprechi, scandali e privilegi l'autonomia senza limiti che regna in Valle d'AostaLa più pigione italiana è un esempio di malagestione. Al riparo del suo statuto speciale e di una politica pervasiva

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«In un casinò la regola è far continuare a giocare i clienti. Più giocano e più perdono, e alla fine becchiamo tutto noi», fa dire Martin Scorsese a Robert De Niro, alias “Asso” Rothstein, nel film Casinò. Regola che a Saint Vincent, tuttavia, nessuno ha mai applicato. Perché se avesse funzionato anche lì, come nelle case da gioco del mondo intero, il Casinò de la Vallee non avrebbe perso una montagna di soldi. Centotrentaquattro milioni 583.189 euro dal 2003 al 2016, che fa 26.311 euro al giorno. Ogni valdostano, neonati compresi, perde al Casinò un centesimo all’ora. E non è una battuta a effetto, ma un’emorragia economica reale: perché la casa da gioco è pubblica, di proprietà della Regione. Che ora, dopo il rosso monstre dell’anno scorso (46,6 milioni!) dovrà con ogni probabilità rimettere mano al portafoglio per ricapitalizzare: almeno una ventina di milioni.

Un altro fra i prodigiosi risultati delle autonomie regionali? In una certa misura. Di sicuro il Casinò è oggi lo specchio della Valle D’Aosta. E se è legittimo chiedersi che senso abbia la sopravvivenza di statuti regionali speciali che spesso risultano fonte di sprechi e privilegi anacronistici e non più giustificabili, in questo caso la domanda è ancor più radicale: a settant’anni dai trattati di pace di Parigi del 1947 che ne sono di fatto l’origine, può ancora esistere una Regione così?

Il record di dipendenti pubblici
Secondo l’ultimo dato Istat la Valle D’Aosta ha 126.883 abitanti. Più o meno la metà di Verona, o se preferite tanti quanti sono i residenti di Giugliano in Campania, provincia di Napoli. Con la densità territoriale minore del Paese, la popolazione è disseminata in 74 comuni. Ognuno dei quali ha i relativi uffici. Ci sono poi quelli della Regione, oltre alle strutture periferiche dello Stato centrale. Il che rende questa microscopica Regione il più massiccio serbatoio di posti pubblici della nazione in rapporto agli abitanti. L’Istat dice che ce ne sono 14.101, ovvero uno ogni nove valdostani. Dei quali posti, va precisato, ben 2.821 sono occupati dai dipendenti regionali. Duecento in più rispetto alla vicina Regione Piemonte, che però di abitanti ne ha 4,4 milioni.

Ma non basta. Perché si deve aggiungere la pletora assurda delle società pubbliche. Nel portafoglio della Valle D’Aosta si contano una sessantina di partecipazioni di primo e secondo livello, con un numero di posti a carico del bilancio regionale non inferiore alle 2.300 unità. Settecento solo nel Casinò. Per non parlare dei 22 “enti strumentali” elencati nel bilancio regionale. Se poi si calcola anche l’indotto, si può dire che in ogni famiglia c’è chi campa con i denari pubblici.

Tutto parte da qui. Per chi non lo sapesse, la Valle D’Aosta è l’unica Regione italiana il cui governatore non è votato dal popolo, ma nominato dal consiglio regionale. Succede quindi che dopo le dimissioni del presidente Pierluigi Marquis seguite al ritrovamento di 25 mila euro in contanti nel suo ufficio, non si torni a votare. Perché la crisi si risolve esattamente come nella prima repubblica, con una manovra di corridoio. Anche se nulla cambierebbe pur tornando al voto. Perché in una comunità così ristretta, con il meccanismo delle tre preferenze, il sistema è congegnato in modo tale da garantire la conservazione del potere. Accontentando tutti grazie allo statuto speciale.

Il bastone del comando
In una Regione normale come la Lombardia c’è una poltrona ogni 125 mila abitanti. Seguendo lo stesso criterio, il consiglio regionale della Valle D’Aosta dovrebbe averne una sola. Invece sono 35: una ogni 3.600 residenti. Con i costi che ne conseguono, se si considerano anche i 111 dipendenti del medesimo consiglio. Dal 1946 a oggi, per più di sei decenni, il bastone del comando è stato nelle mani dell’Union Valdotaine, che ha governato ininterrottamente negli ultimi ventiquattro anni fino all’arrivo Marquis della Stella Alpina, il quale ha retto soltanto sei mesi e poi s’è dovuto dimettere. Prima di lui, la lunga epoca di Augusto Rollandin, ultimo vero padre padrone di una Regione dove un certo modo di intendere la politica ha allagato l’intera società. Come dimostrano alcuni dettagli solo apparentemente trascurabili.

Prima di essere nominato governatore Rollandin era presidente della Compagnia valdostana delle acque, l’azienda pubblica che gestisce gli impianti idroelettrici acquistati nel 2001 dalla Regione con un’operazione di cui si parla più avanti. Società nella quale l’assessore al turismo Aurelio Marguerattaz, già membro del collegio sindacale del Casinò, è stato peraltro revisore. Mentre lo stesso Marquis aveva in passato occupato le poltrone di presidente della Società autostrade valdostane e del Raccordo autostradale Valle D’Aosta spa.

L'ombra del voto di scambio
Su 35 consiglieri, una decina hanno ricoperto incarichi in aziende o enti regionali. E colpisce che in quattro siano stati sospesi ai sensi della legge Severino perché raggiunti da condanne in primo grado in seguito alle inchieste sull’uso improprio dei fondi di partito. Mai però come hanno colpito le sconvolgenti affermazioni di Rosy Bindi, presidente della commissione parlamentare antimafia, che giovedì 19 ottobre ha scioccato l’intera Regione con queste parole: «In una realtà con così pochi elettori e una presenza significativa di persone riconducibili a gruppi ‘ndranghetisti è singolare che in Valle D’Aosta non si sia indagato sul voto di scambio per accertare se ci sono stati tentativi di condizionamento sulle scelte politiche e amministrative».

Ombre davvero inquietanti, che si aggiungono alle tante che già aleggiano sulla più piccola Regione italiana. Al riparo dello statuto speciale e di un potere politico così pervasivo qui tutto può accadere. Sfiorando il limite delle regole imposte a ogni buon padre di famiglia. Per esempio, può succedere che la Regione acquisti un albergo (l’hotel Billia) per la rispettabile cifra di 58 milioni, con il risultato di aggravare la traballante situazione finanziaria del Casinò e ritrovarsi sul groppone altro personale.

L'affare Skyway
Oppure che la medesima Regione spenda 162 milioni per realizzare un impianto avveniristico come lo Skyway affidandone la gestione alla società Funivie Monte Bianco nella quale i privati hanno metà meno una quota del capitale. Però senza che sia stata fatta una gara, perché quella società era in origine tutta privata. O ancora, capita che più di 30 milioni dei contribuenti vengano investiti in un aeroporto gestito da un’altra società controllata da un petroliere genovese proprietario della compagnia aerea Air Vallée. Ma con la partecipazione, anche qui, della Regione che continua a tirare fuori i soldi.

I derivati con Deutsche Bank
Piccolo particolare, dal 2008 non c’è un volo di linea e l’aeroporto è costato quest’anno un altro milione e mezzo a un bilancio regionale pieno di sorprese. Una per tutte. Si scopre che dal 2001 la Regione ha stipulato con Deutsche bank un contratto in derivati per 543,1 milioni (4.310 euro per ogni cittadino) a valle di un prestito obbligazionario per comprare le centrali idroelettriche. Motivo, tutelarsi dal rischio di aumento dei tassi d’interesse. Fatto sta che i tassi sono al minimo storico e per quel contratto ventennale i valdostani stanno accantonando 43,5 milioni l’anno: circa 27 di capitale e 16 di interessi. Fare i conti non è difficile.

Poi si è reso necessario per legge un riaccertamento dei residui attivi e passivi nel bilancio regionale, con
il risultato che l’avanzo di amministrazione di 217,6 milioni del 2015 si è trasformato in un disavanzo di 204,8 milioni. Niente male, per una Regione che per statuto può trattenere in casa il 90 per cento delle tasse. Esattamente come ora vorrebbe il Veneto di Luca Zaia…

venerdì 27 ottobre 2017

La sentenza della Cassazione che ha condannato il Ministero dell'Istruzione a risarcire la famiglia di un bambino morto dopo l'uscita da scuola ha sollevato un vespaio di polemiche, tra quelli che tirano in ballo la Buona Scuola e la Fedeli che invita a "mandare i nonni" ecco cosa dice la legge attuale e come il PD vuole cambiarla per risolvere il problema
GIOVANNI DROGO
Ma davvero tutti i genitori degli alunni delle medie sono tenuti per legge ad andare a prendere a scuola i figli o no? Dopo la sentenza della Cassazione si è scatenato un vero e proprio putiferio, con genitori infuriati contro la Ministra dell’Istruzione Fedeli e roventi polemiche nei talk show. Alla fine sulla questione è sceso in campo anche il Segretario del PD Matteo Renzi, preoccupato da quanto si legge “nelle chat WhatsApp dei genitori”. Insomma l’ex Premier è preoccupato da genitore

La Legge sulla Buona Scuola non c’entra con la pronuncia della Cassazione

Renzi in realtà ci tiene di più a precisare che lui e la sua riforma della Buona Scuola non hanno nulla a che fare con questa pronuncia della Cassazione. Perché in questi giorni si è diffusa anche la storia che la colpa di questa situazione fosse da attribuire alla riforma di Renzi. Che però questa volta non c’entra, perché la legge in base alla quale si è espressa la Cassazione è un’altra ed è quella che tutela l’incolumità dei minori di 14 anni. La Cassazione si è del resto espressa su una vicenda che risale a quindici anni fa e che riguarda la morte di un ragazzino di 11 anni investito da un autobus dopo l’uscita da scuola. La Cassazione ha stabilito che il coinvolgimento di un minore in un incidente fuori dal perimetro scolastico non esclude la responsabilità della scuola. La Cassazione ha respinto il ricorso del Ministero dell’Istruzione condannandolo a pagare una parte dei danni morali alla famiglia del ragazzino rimasto ucciso nell’incidente.
matteo renzi scuole medie genitori - 1
Per il codice penale c’è infatti una differenza sostanziale tra un individuo minorenne di 15 anni e uno di 13. Questo vale sia nel caso in cui commetta dei reati (articoli 97 e 98) sia nel caso – come è quello di cui si parla – possa andare e tornare da scuola non accompagnato. La legge stabilisce fino a quattordici anni il minore non è mai imputabile perché nei suoi confronti è prevista una presunzione assoluta di incapacità. Per questa ragione la legge (Art. 591 CP) punisce l’abbandono di minore (ovvero di coloro che hanno meno di 14 anni) da parte di chi ne ha custodia.

Secondo il PD bisogna cambiare la legge per consentire ai genitori di scegliere

Nel caso degli alunni delle medie questi sono affidati alla scuola. Insomma, in base alla legge attuale non c’è scampo: i genitori sono tenuti ad accompagnare e a prendere i figli a scuola. Lo ha detto del resto anche la Ministra Valeria Fedeli: «Questa  la legge. Credo che anche i genitori devono esserne consapevoli. Le scelte dei presidi sono collegate a leggi dello Stato italiano. Per cambiarle serve un’iniziativa parlamentare». La Fedeli ha provato a consigliare di mandare i nonni a prendere i nipoti, ma è evidente che non tutti possono farlo. Quindi il problema rimane.
L’unico modo per porre rimedio alla questione, che da alcuni genitori è stata vista come un rimprovero nei loro confronti, è quindi modificare la legge. Ed è per questo che, dice Renzi, il Segretario del PD ha chiesto a Simona Malpezzi, responsabile del dipartimento scuola, di “cambiare la legge e di presentare già la settimana prossima un emendamento per modificare le regole: siano i genitori a scegliere e ad assumersi le responsabilità. Senza scaricarle sui professori, ma senza costringere per forza un ragazzo di terza media a farsi venire a prendere a scuola”. Rimane da vedere però in che modo una legge potrà risolvere il problema di chi ha la responsabilità (e la tutela) del minore all’uscita dalla scuola. Perché fino a che non succede nulla non ci sarà nessun problema, ma se dovesse capitare un incidente in che modo sarebbe tutelato l’interesse del minore?

martedì 24 ottobre 2017

Scelta scellerata quella di Maroni indicendo un referendum legittimamente e legalmente possibile. Ottimo e intelligente nel momento in cui ricorda all'ignorante Zaia ( che non conosce né il diritto né la costituzione) che il referendum consultivo nella nostra costituzione non può aggiungere regioni a statuto speciale. In Vento si avvicina la Catalogna. Io credo che le banche e le industrie straniere, da domani inizieranno ad andarsene anche dal Veneto che diventerà povero come lo è sempre stato nel dopo guerra.

Ma Maroni boccia Zaia: "Sbaglia a chiedere l’autonomia speciale"

Il disappunto del governatore lombardo: “Una proposta avanzata a mia insaputa”. "Il nostro quesito referendario faceva esplicito riferimento all’articolo 116"
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ROMA  «Luca Zaia mi ha un po’ spiazzato». Roberto Maroni, governatore della Lombardia, non nasconde il suo disappunto per la scelta che il suo collega del Veneto ha fatto («a mia insaputa», ammette a denti stretti) di chiedere che il Veneto diventi una regione a statuto speciale. Con una proposta di legge statale di iniziativa regionale, Zaia ha chiesto infatti una modifica dell’articolo 116 della Costituzione con l’inserimento del Veneto tra le regioni a statuto speciale.

Appena 24 ore prima, domenica notte, commentando i dati sulla forte affluenza alle urne, Roberto Maroni aveva pronunciato parole di distensione: «Non faccio la competizione con Luca Zaia - aveva detto - sono felice perché adesso possiamo unire le forze per fare la battaglia del secolo».

Ma ieri mattina le strade di Maroni e Zaia si sono divise prima ancora di cominciarla quella “battaglia del secolo”: il governatore lombardo orientato al dialogo col premier e il ministro dell’Economia nell’ambito dell’articolo 116 che prevede maggiori poteri alle regioni più virtuose; il presidente veneto che invece ha avanzato una richiesta al governo una richiesta che il sottosegretario agli Affari Regionali Gianclaudio Bressa ha bollato subito come «irricevibile, essendo di competenza del Parlamento».

E ieri mattina, non a caso, c’è stato un incontro riservato tra il governatore lombardo e il segretario della Lega. Matteo Salvini, neppure lui informato della intenzione di Zaia, è apparso preoccupato per la improvvisa strategia veneta che rischia di metterlo in difficoltà perchè al Sud - dove da tempo il leader del Carroccio sta cercando sponde politiche per le prossime elezioni - non vedrebbero certo di buon occhio la scelta di una Regione leghista tra le più ricche del Paese che trattiene per sé quasi tutte le entrate fiscali.

Maroni, lei che ha vissuto in prima persona alla fine degli anni Novanta l’esperienza (fallita) della secessione, come giudica ora la scelta di Zaia?
«Mi ha un po’ spiazzato, non era concordata questa mossa, l’ho appresa stamattina. Domani leggerò la sua proposta di legge e capirò se sarà possibile un percorso comune».

Perché Zaia ha fatto questa mossa, come dice lei, «non concordata»?
«Francamente non lo so, se per vicende interne alla Lega o per mostrare i muscoli. Però ogni risposta è lecita perchè è indubbio che ora c’è un problema all’interno della Lega. E un altro con il governo».

Dice di essere stato spiazzato: in che senso?
«Difficile fare una battaglia insieme ora: Bressa mi ha telefonato stamattina (ieri, ndr) dicendomi chiaro che se io gli avessi chiesto lo statuto speciale per la Lombardia non sarebbe stata possibile alcuna trattativa con il governo, visto che la materia è di competenza del Parlamento. Io speravo di fare una battaglia comune, e invece a questo punto non ci faranno sedere allo stesso tavolo. Un conto è andare a trattare in due, un altro andarci da soli. E poi anche per un motivo strettamente tecnico».

Quale?
«Al contrario di quella di Zaia che parlava in modo vago di nuove forme di autonomia senza citare le risorse, la mia richiesta referendaria faceva esplicito riferimento all’articolo 116, il che mi impedisce ora di chiedere lo statuto speciale. Anche se volessi allinearmi al governatore veneto, non potrei farlo. Non potrei seguirlo sulla sua strada. Ecco perchè mi ha un po’ spiazzato».

Cosa chiederà al governo?
«Che alla Lombardia venga riconosciuto lo status di regione “speciale” (da non confondersi con lo “statuto speciale”), al fine di ottenere più soldi con i meccanismi del residuo fiscale, il tutto nel quadro dell’unità nazionale».

Spiazzato lei, e in difficoltà Salvini, in particolare con
le regioni del Sud?

«Non parlo per Salvini. Certo è che trasformarsi in una regione a statuto speciale, come ad esempio la Valle d’Aosta, significa chiudersi a tutte le altre regioni perché, così facendo, si tengono per sé tutti i soldi».

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