sabato 26 aprile 2014

In un paese civile finirebbero in galera tutti i leghisti che sono tutti razzisti come questo assessore.

Due mesi all’assessore Pedrali: paragonò la Kyenge a una scimmia

Pubblicato il 18 aprile 2014 da Giacomo Salvini  
Il celodurismo leghista ha avuto nella storia anche i suoi scivoloni. Uno di questi è stato punito dal tribunale di Brescia con due mesi di reclusione per Agostino Pedrali, ex assessore leghista ai servizi sociali del comune di Coccaglio (Brescia). Il nostro, il 18 luglio scorso, aveva postato sul proprio profilo facebook una foto del ministro per l’integrazione Cecilè Kyenge affiancata da una scimmia. Titolo: “separate alla nascita”. Didascalia: “Dite quello che volete, ma non assomiglia a un orango? Dai, guardate bene”.
ministro cecile kyenge
Agostino Pedrali è stato condannato quest’oggi per diffamazione aggravata da finalità di discriminazione etnico razziale e la Camera del lavoro di Brescia ha esultato: “Ancora una volta il tribunale di Brescia dimostra una particolare sensibilità su questi temi tutelando il diritto di ciascuno alla differenza. La sentenza, inoltre, contribuisce a dare rinnovata forza al lavoro di chi, giorno per giorno, vigila affinché episodi simili non si ripetano”.

Tutti candidati. Piuttosto che lavorare o nel caso dei grillini, piuttosto che disoccupati, è meglio avere una poltroncina.

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Tra Berlusconi e Grillo c'è l'imbarazzo della scelta per accertare chi è più ignorante.

Berlusconi e i “lager mai esistiti per i tedeschi”. Pse: “Insulta la Germania”

BRUXELLES  - “Per i tedeschi i campi di concentramento non sono mai esistiti”Silvio Berlusconi torna all’attacco dell’ex leader del Partito socialista europeo, Martin Schulz, già definito “kapò”, ma stavolta solleva un vero e proprio polverone di polemiche. Il presidente del Pse, Sergei Stanishev, ha chiesto alla cancelliera tedescaAngela Merkel e al candidato del Ppe Jean Claude Juncker l’ “immediata condanna” delle “spregevoli dichiarazioni” di Berlusconi. Anche per gli austriaci di S&D “Forza Italia non può più stare nel Ppe”, ha dettoHannes Swoboda, capogruppo S&D al Parlamento europeo. Berlusconi
“non rispetta gli standard minimi di educazione e comunicazione richiesti in una campagna europea. Il Ppe deve decidere se è ancora di centro o accetta estremisti”.
L’appello di Stanishev “ad Angela Merkel ed ai leader del Partito popolare europeo, compreso il loro candidato comune Jean Claude Juncker” è stato diffuso con una nota del Pse in cui si afferma che Berlusconi
“facendo riferimento ai commenti di dieci anni fa, quando definì Schulz come ‘buono per il ruolo di kapò’ stavolta è andato persino oltre dicendo che ‘per i tedeschi i campi di concentramento non sono mai esistiti. Questi commenti sono un insulto per l’intero popolo tedesco, non solo per Martin Schulz. Di più, sono un cinico tentativo di distrarre l’attenzione dalla vere questioni in gioco in queste elezioni, come il bisogno di più lavoro e più crescita in Europa”.
Nella nota si precisa che Stanishev ha chiesto a Merkel ed ai leader del Ppe (la famiglia politica europea di riferimento, finora, di Forza Italia) non solo “l’immediata condanna degli spregevoli commenti” ma anche “di prendere le distanze da tali commenti” di Berlusconi. Il Pse sottolinea che nel Congresso del Ppe del 6-7 marzo scorsi a Dublino “Berlusconi è stato uno dei sostenitori chiave della proposta di Juncker per diventare candidato” dei popolari alla presidenza della Commissione europea.
A dare manforte a Berlusconi c’ha pensato, però, l’eurodeputata di Forza Italia Licia Ronzulli: 

”Su Schulz Silvio Berlusconi ha ragione. Rappresenta una parte del fallimento europeo: la Germania in quanto tale. Anche se Schulz è di un partito diverso dalla cancelliera tedesca, con la Merkel si mettono d’accordo su tutto per la Germania. E’ esattamente quello che ha detto oggi. Lui fa campagna elettorale utilizzando il parlamento europeo, con i soldi del parlamento europeo. E questo è di una gravità imperdonabile: fino al giorno prima della presentazione delle liste è andato solo ai convegni della sinistra, non è un presidente superpartes”.

Grazie a chi ha avuto il coraggio di salavate l'Italia dal nazifascismo ridandole la libertà. Grazie a tutti i partigiani.


Roba da fascismo. Il gruppo comunicazione del M5S non perde occasioni utili a farsi pubblicità. Vergogna. Sulla sofferenza degli operai.


Al comizio di Grillo con il cartello "No campagna elettorale sulla nostra pelle". Ma gli attivisti lo censurano (VIDEO)

"Troppo facile farsi vedere ai funerali. Non fate campagna elettorale sulla nostra pelle". Un operaio delle acciaierie ha tentato di esporre un cartello al comizio di Beppe Grillo al Piombino. Ma, come documentano le immagini, è stato invitato ad abbassarlo. Poi, raggiunto dalle telecamere, ha accusato: "Gli attivisti mi hanno strappato il cartello. Ero venuto ad ascoltare, ma se questa è la democrazia me ne vado".

Strardinario. Non si può perdere. Una satira molto vicina alla realtà.

https://m.facebook.com/groups/178305678846532?view=permalink&id=781600685183692

Con una ironia che i grllini non sono capaci di capire dico bravi agli editor del PD.

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=10203637898058749&substory_index=1&id=1555364601

Un vero esempio di democrazia diretta. Un centinaio di iscritti. Il popolo.

Parma, la base del “recall” di Pizzarotti? Un centinaio di iscritti (eletti compresi)

Gianroberto Casaleggio ha chiesto una verifica, il sindaco si è detto non disponibile. Ma nella città del "boom" M5S 2012 si contano 53 iscritti attivi e altrettanti "ordinari". I consiglieri 5 Stelle stanno con il primo cittadino e dicono: "Se si deve fare questa verifica, le regole siano certe"

Parma, la base del “recall” di Pizzarotti? Un centinaio di iscritti (eletti compresi)
Gianroberto Casaleggio e Federico Pizzarotti discutono da giorni (a mezzo stampa) sul cosiddetto “recall”, ovvero la verifica tra gli iscritti per confermare la fiducia al sindaco. Il co-fondatore la chiede, il primo cittadino la respinge. Ma quanti sarebbero gli “aventi diritto” al voto? A Parma il boom del Movimento non ha portato, come sarebbe stato prevedibile, una fila di nuovi iscritti. Numeri alla mano, oggi nell’associazione Parma in Movimento si contano 53 iscritti attivi, compresi sindaco, vicesindaco e 20 consiglieri comunali, a cui si aggiungono una cinquantina di iscritti ordinari certificati, che partecipano alle assemblee ma non hanno diritto di voto. Una cifra non altissima, per una città di 190mila abitanti con un governo pentastellato da due anni.
Sarebbe questa, quindi, la base chiamata a riconfermare la fiducia al sindaco nel “recall” che Pizzarotti ha già definito “tecnicamente non fattibile”. Non perché abbia paura di essere sfiduciato per la battaglia persa dell’inceneritore o per il suo operato, assicurano i suoi fedelissimi: “Il recall non lo fanno in tutti i Comuni – spiega Marco Vagnozzi, presidente del consiglio comunale e storico rappresentante del Movimento sul territorio –. Se si decide di applicarlo va benissimo, ma devono essere stabilite norme precise e deve essere fatto per tutti, non solo per Pizzarotti”. Se la maggioranza della base sembra allineata con il sindaco e la sua amministrazione, e sarebbe pronta a rivotarli, non mancano però le voci fuori dal coro. “Certamente il recall aprirebbe un dibattito molto serio” spiega un attivista. Alcuni lamentano anche il mancato confronto con il gruppo su alcuni temi. Inceneritore, politiche abitative, rapporto con la multiutility Iren. Nell’ultimo anno alcune scelte dei Cinque stelle in consiglio hanno creato qualche malumore all’interno del gruppo, una piccola frangia le ha definite in contrasto con il programma promesso ai cittadini e con quanto ci si aspetterebbe dai Cinque stelle. E questo, indipendentemente dalle dichiarazioni di Gianroberto Casaleggio nell’intervista al Fatto Quotidiano o dalle recenti tensioni tra Beppe Grillo e il sindaco.
“Facciamo assemblee con il gruppo ogni mese per confrontarci. Bisogna sempre contestualizzare – replica il capogruppo del consiglio comunale Marco Bosi – è troppo facile dire che una cosa non è in linea con i Cinque stelle, quando non ci sono alternative e non si fanno proposte”. Il dialogo con l’amministrazione c’è, assicura anche il presidente di Parma in Movimento Andrea D’Alessandro, che gestisce l’associazione da dopo la vittoria Cinque stelle e che con il resto del gruppo sta pensando di organizzare momenti di incontro con i cittadini su temi spinosi per la città, dalla moschea al piano di sviluppo urbanistico. Sarebbe anche un modo per far conoscere al territorio il Movimento e allargare la base, che in questi anni è cresciuta sì e no di una trentina di persone. È il tallone d’Achille dell’amministrazione Pizzarotti. Gli attivisti puri, senza cariche in Municipio, sono poco più del doppio dei consiglieri che oggi siedono nei banchi di maggioranza dell’assemblea cittadina.
“Sul sito del meetup gli iscritti sono 700 – spiega D’Alessandro – Alle assemblee con gli attivisti arriviamo a un centinaio, ma è normale, fa parte del percorso di educazione alla partecipazione, richiede tempo”. A dire il vero, nelle vicine Reggio Emilia e Modena le cifre non differiscono molto da quelle di Parma, ma come ammette anche il consigliere M5S Mauro Nuzzo, “Per essere all’amministrazione, la base è cresciuta relativamente poco – spiega, condividendo in parte le critiche espresse dalla minoranza degli attivisti – Penso che a volte manchi un adeguato flusso di confronto politico con il gruppo”. Eppure la mancata crescita della base viene vista dalla maggioranza come un fatto inevitabile. Gli attivisti parmigiani che sono nel Movimento sin dalla sua nascita nel 2005 e che in dieci anni hanno lottato su temi locali e nazionali, dall’inceneritore alla democrazia diretta, raccontano che il 2012 che ha segnato l’ascesa di Pizzarotti in Comune, ha anche in un certo sensoazzerato la base. Gli iscritti di Parma in Movimento sono stati fagocitati dalla macchina amministrativa e per un anno l’associazione è rimasta quasi ferma. “E’ stato molto difficoltoso riuscire a costruire un rapporto continuo con gli attivisti perché siamo stati ‘inghiottiti’ da tutte le problematiche inerenti il ‘sistema Comune di Parma’ – racconta Alessandro Mallozzi, uno dei fondatori del gruppo parmigiano – Ora stiamo cercando di costruire un nuovo tipo di approccio tra attivisti e consiglieri anche organizzando assemblee con la partecipazione degli assessori”.

Houston abbiamo un problema. Grillo é un bugiardo.

http://stimasito.com/www/beppegrillo.it

Questo è il testo di una canzone non quell'aborto di deficienti che sbattono i pugni sul tavolo come se stessero per combattere una dittatura fascista. Poveri diavoli. L'elogio della mediocrità dell'uomo qualunque che non ha mai contato niente nella vita non perché troppo intelligente ma perché troppo fesso.

See the nation through the people's eyes, 
See tears that flow like rivers from the skies. 
Where it seems there are only borderlines 
Where others turn and sigh, 
You shall rise (x2) 

There's disaster in your past 
Boundaries in your path 
What do you desire when lift you higher? 
You don't have to be extraordinary, just forgiving 
Those who never heard your cries, 
You shall rise (x2) 
And look toward the skies. 
Where others fail, you prevail in time. 
You shall rise. 

(You may never know, 
If you lay low, lay low) (x4) 
You shall rise (x3) 

Sooner or later we must try... Living 
(You may never know, 
If you lay low, lay low) (x4) 

See the nation through the people's eyes, 
See tears that flow like rivers from the skies. 
Where it seems there are only borderlines 
Where others turn and sigh, 
You shall rise (x4) 

(You may never know, 
If you lay low, lay low) [4x] 

Sooner or later we must try... Living




Vivere il Darfur


Guarda la nazione attraverso gli occhi del popolo
Guarda le lacrime che scorrono come fiumi dai cieli
Dove sembra che ci siano solo confini
Dove gli altri si girano e sospirano
Tu devi sollevarti (x2)

C’è un disastro nel tuo passato
Limiti nel tuo cammino
Cosa desideri quando ti tiri più su?
Non devi essere straordinario, solo perdonando
Quelli che non hanno mai sentito i tuoi pianti,
Tu ti solleverai (x2)
E guarda verso i cieli
Dove altri falliscono, tu prevali nel tempo
Tu devi sollevarti

(Non lo puoi mai sapere
Se ti abbatti, ti abbatti) (x4)
Tu devi sollevarti (x3)

Prima o poi dobbiamo provare…a vivere
(Non lo puoi mai sapere
Se ti abbatti, ti abbatti) (x4)

Guarda la nazione attraverso gli occhi del popolo
Guarda le lacrime che scorrono come fiumi dai cieli
Dove sembra che ci siano solo confini
Dove gli altri si girano e sospirano
Tu devi sollevarti (x2)

(Non lo puoi mai sapere
Se ti abbatti, ti abbatti) (x4)

Prima o poi dobbiamo provare…a vivere

- See more at: http://www.nuovamusica.net/2007/10/mattafix-living-darfur-testo-tradotto.html#sthash.UcvBC2zh.dpuf

Dedicato a quegli zombie corrotti dei leghisti e a quei deficienti grillini che sbattono pugni sul tavolo anziché sulla loro testa di piombo puro.

http://youtu.be/qQwCCm-H-sU

I pugni quegli imbecilli di grillini dovrebbero batterseli in testa. Anzi dovrebbero battere la testa nel muro. Tanto dentro non hanno neanche una minima percentuale di cervello. Solo aria fritta.

Uscire dall’euro non sarebbe certo una passeggiata. La riconversione comporterebbe enormi problemi, con gravi ripercussioni sulla vita quotidiana di tutti noi. Soprattutto, però, determinerebbe un impoverimento significativo della popolazione italiana. Cosa ci insegna il confronto con il 1992.
ACCADE NEL 1992
Ragionare sulle conseguenze di un eventuale ritorno alla lira come se si trattasse semplicemente di una svalutazione è fuorviante. Ma proviamo comunque a immaginare che cosa potrebbe accadere se l’Italia facesse questa scelta, pur lasciando da parte, per il momento, le considerazioni relative a sostenibilità del debito e sopravvivenza dell’euro.
Nell’ultima grande crisi valutaria che ci ha visto protagonisti, quella del settembre 1992, il cambio lira/marco passò dal livello di 765,4 lire (venerdì 11 settembre 1992) a 983,7 lire (24 febbraio 1993), per poi stabilizzarsi nella fascia 900-1.000 lire nei mesi successivi. Nel giro di quattro mesi la nostra moneta si svalutò del 30 per cento. Il picco fu raggiunto nel marzo del 1995, con il marco a 1.274 lire: + 66 per cento rispetto al settembre 1992. E lo scenario del 1992 è da considerarsi ottimistico rispetto a quello che potrebbe accadere oggi: il panico e le reazioni a catena nel sistema finanziario italiano che deriverebbero da una uscita dall’euro potrebbero determinare una crisi economica e una svalutazione ben superiore a quelle sperimentate in passato, perché una cosa è uscire da un sistema di cambi fissi e un’altra è uscire da una unione monetaria. Tra l’altro, il sistema economico allora era “abituato” a frequenti crisi valutarie e a un’inflazione elevata. I risparmiatori erano, almeno in parte, preparati ad assorbire i colpi di una svalutazione e i produttori erano pronti a sfruttarla, prima che l’inflazione si rimangiasse il vantaggio competitivo.
Oggi, se la nuova lira si svalutasse anche “solo” del 30-50 per cento rispetto all’euro, il debito pubblico sarebbe insostenibile e bisognerebbe immediatamente ridenominarlo in lire. Lo stesso vale per i debiti privati. Nel momento in cui l’Italia dovesse decidere di ritornare alla lira, il Parlamento italiano dovrebbe ridenominare in lire tutti i contratti e gli strumenti finanziari: non solo titoli di Stato (Btp, Bot, e altro) ma anche buoni postali, conti correnti, obbligazioni private, polizze assicurative, mutui, e via elencando. Ovviamente, questo varrebbe solo per gli strumenti finanziari e i contratti sottoposti alla legge italiana. Se invece un’azienda avesse emesso un’obbligazione internazionale o contratto un debito in un paese estero, la valuta di denominazione non potrebbe cambiare e rimarrà in euro. E gli investitori dovrebbero verificare se quella azienda italiana sarà in grado di ripagare un debito ora in valuta estera.
MERCATI CHIUSI
In definitiva, chi avrà acquistato strumenti finanziari italiani perderà potere d’acquisto, se misurato in euro (e anche in lire se, come presumibile, la forte svalutazione genererà una fiammata inflazionistica). Chi invece avrà diversificato per tempo il proprio portafoglio, acquistando titoli in euro di emittenti esteri e di diritto estero (ad esempio Bund), manterrà inalterato il potere d’acquisto dei propri investimenti.
Ma le autorità italiane non potranno lasciare il tempo agli operatori privati di diversificare il portafoglio e causare così il collasso del sistema finanziario italiano per l’inevitabile fuga di capitali o l’altrettanto inevitabile aumento dello spread. Perciò, non appena la possibilità di abbandonare l’euro diventerà una ipotesi concreta, è plausibile ritenere che verrà decretata la chiusura dell’Italia ai movimenti di capitale e la sospensione delle contrattazioni in Borsa e questo stato di cose durerà per tutto il tempo necessario a completare la transizione dall’euro alla lira.
Anche le esperienze del passato confermano che tenere aperti i mercati è impossibile. Nel settembre del 1992, proprio per cercare di fermare i movimenti di capitale in uscita, i tassi interbancari toccarono il livello del 40 per cento nell’ultima disperata difesa del cambio. Ovviamente, oggi (come allora) il sistema finanziario italiani non è in grado di tollerare tassi così elevati, se non per pochissimi giorni.
Il ritorno alla lira, con il rialzo dell’inflazione e dei tassi d’interesse nominali favorirà chi ha un debito a tasso fisso e a lungo termine. Pensiamo invece a chi ha un debito a tasso variabile: in quale situazione verranno a trovarsi le famiglie che hanno contratto un mutuo indicizzato all’Euribor? Al confronto di quello che potrebbe succedere, il ricordo della vicenda dei mutui in Ecu impallidisce.
Rimane da verificare l’azione della Banca d’Italia a sostegno del mercato dei titoli di Stato e quella del legislatore per impedire che gli aggiustamenti di portafoglio possano determinare conseguenze sistemiche. La struttura del mercato finanziario italiano prima del 1992 era completamente diversa rispetto a oggi. Quando il rischio di default e di inflazione è concreto, infatti, prevalgono scadenze brevi (Bot), titoli indicizzati (Cct) e, se il legislatore lo consente, titoli in valuta forte. Quando l’Italia emise il suo primo Btp decennale nel marzo del 1991, la cedola era del 12,5 per cento. Questo significa che, anche senza considerare la reazione (di vendita) degli operatori esteri, la ricomposizione dei portafogli degli stessi investitori domestici rischierebbe di provocare un terremoto sulle scadenze medio-lunghe dei titoli di Stato.
Paradossalmente, se l’obiettivo è quello di abbattere il debito con la tassa d’inflazione, una struttura del debito come l’attuale è (quasi) perfetta: circa un terzo del nostro debito (663 miliardi) ha vita residua inferiore a un anno o è a tasso variabile, ma per due terzi è a tasso fisso con scadenza a lungo termine. Il problema è che il vantaggio per lo Stato-emittente si tradurrebbe in un impoverimento tale della popolazione da rendere difficilmente valutabili le conseguenze sulla vita sociale e democratica del paese.
In questo scenario, anche la struttura finanziaria probabilmente dovrebbe essere totalmente ripensata. Le perdite in conto capitale sugli investimenti delle banche e delle assicurazionidovrebbero essere sterilizzate contabilmente, come peraltro già fatto nel 2012. Ma l’intervento sulle regole contabili potrebbe non essere sufficiente.
Per entrambe le categorie di operatori finanziari, la sopravvivenza dipenderebbe dal comportamento dei clienti e dalla capacità di chiudere il sistema finanziario domestico in compartimenti stagni. Se, ad esempio, le banche fossero costrette ad aumentare i tassi sui conti correnti per trattenere i clienti, le perdite da contabili diventerebbero reali. Lo stesso accadrebbe se le assicurazioni dovessero subire significativi deflussi dalle vecchie polizze con bassi rendimenti garantiti. Non si dovrebbero quindi bloccare solo i movimenti di capitale con l’estero, ma si dovrebbe anche limitare la circolazione dei capitali all’interno, facendo marcia indietro rispetto all’idea di mercati competitivi e reintroducendo elementi di frizione (ad esempio costi fissi elevati per lo spostamento dei rapporti bancari o la chiusura anticipata dei contratti assicurativi) e di blocco perché l’estremo tentativo di proteggere il potere d’acquisto dei propri risparmi consisterà nel prelevare i contanti dal conto corrente prima che avvenga la ridenominazione. Anche senza considerare i timori più che concreti di una imposta patrimoniale, si avrebbe una corsa agli sportelli che, se non contrastata, potrebbe determinare il crollo del sistema bancario nazionale. E allora, come è già successo a Cipro o in Argentina, fintanto che la situazione non si fosse stabilizzata, i prelievi di contante dal conto corrente e dal bancomat dovrebbero essere contingentati al minimo indispensabile. In un contesto come questo, riuscire a evitare il fallimento del sistema bancario e assicurativo sarebbe un miracolo. Più probabile assistere a una sua parziale nazionalizzazione, con il ritorno alla situazione di venticinque anni fa.
LA TRANSIZIONE
Per un’economia di trasformazione e votata al commercio internazionale come l’Italia, una situazione del genere non potrà durare a lungo. Purtroppo, però, anche sulla “durata” della fase di transizione non è possibile fornire una risposta certa e men che meno tranquillizzante. Il “corralito” in Argentina e il limite giornaliero ai prelievi di contante (300 euro) a Cipro sono durati circa un anno. Nel caso dell’abbandono dell’euro, anche solo il tempo necessario a stampare le nuove lire e riconvertire tutti i sistemi di pagamento introduce un ulteriore elemento di rischio di difficile ponderazione.
Una volta decisa l’uscita dall’euro e adottata la nuova valuta, si porrebbero i problemi “tecnici” legati alla transizione alla nuova lira. In linea teorica, tutta la moneta elettronica (carte di credito, bancomat) potrebbe essere immediatamente convertita nella nuova valuta, ma l’operazione andrebbe “fisicamente” preparata con le istituzioni che poi dovrebbero programmare e girare la famigerata “chiavetta”. La conversione dalle valute nazionali all’euro è avvenuta in tre anni, dal 1999 al 2002. Con le nuove tecnologie e con l’esperienza maturata, i tempi possono essere sicuramente accorciati. Ma di quanto? La “chiavetta” può essere girata in un weekend, ma la preparazione richiederebbe settimane, se non mesi.
Veniamo infine ai problemi della vita quotidiana, legati alle transazioni commerciali di minore entità. Forse, questo della produzione di nuovo circolante è l’aspetto più “folcloristico” di una operazione di conversione valutaria, ma non per questo meno rischioso e meno costoso per l’economia “reale”. Solo per avere un’idea dei numeri in gioco, quando ci fu il passaggio dalle valute nazionali all’euro, per i 300 milioni di cittadini dei paesi interessati furono stampati in tre anni quasi 15 miliardi di banconote e coniati 52 miliardi di monete. Dal 1° gennaio al 1° marzo 2002 furono ritirati dalla circolazione 6 miliardi di banconote e 30 miliardi di monete. Ma se si dovesse decidere di tornare alla lira, bisognerebbe sostituire immediatamente gli euro in circolazione. Mentre la Banca d’Italia inizierà a stampare le nuove banconote, si potrebbe ricorrere alla soluzione di “punzonare” o marcare gli euro cartacei per trasformarli in nuove lire, convertibili “uno a uno”. Per le monete metalliche la procedura sarebbe estremamente complessa e, quindi, si potrebbe assistere alla ripetizione del fenomeno dei mini-assegni già visto con l’inflazione degli anni Settanta. Uno scenario divertente per i collezionisti, ma da incubo per tutti gli utenti che ogni giorno si servono delle macchinette per pagare parcheggi, biglietti, pedaggi. In ogni caso, la riconversione forzosa all’uso degli assegni e della moneta elettronica, avrebbe un impatto maggiore sul piccolo commercio di prossimità, sui mercati rionali, sul terzo settore, dove la moneta fisica è ancora il mezzo di pagamento più diffuso. E poi ci sarebbe il problema dell’adeguamento dei listini. Insomma, i costi di aggiustamento alla nuova lira ricadrebbero maggiormente sui piccoli commercianti e sui loro clienti, spesso i consumatori meno abbienti.
Se questi sono i rischi, vale la pena pensare di uscire dall’euro? L’Europa è una comunità a cui noi apparteniamo e che possiamo contribuire a cambiare, ma dobbiamo rispettare le regole di convivenza. Come hanno capito i greci e i portoghesi, le vie semplici non esistono. E l’abbandono dell’euro, che sembra la più semplice di tutte, rappresenterebbe il ritorno a un mondo che i ricordi di gioventù per molti colorano di rosa, ma i dati mostrano essere incompatibile con i livelli di benessere che abbiamo raggiunto e a cui teniamo.

dipocheparole     venerdì 27 ottobre 2017 20:42  82 Facebook Twitter Google Filippo Nogarin indagato e...