sabato 29 giugno 2013

Mentre in Europa il costo dei servizi diminuisce. Mentre la gente non arriva lla terza settimana del mese. Questo é il paese Italia.


INCARI
Banche, consumatori: costi dei conti troppo alti
Indagine Adusbef: nel 2012 spesa media di 300 euro all'anno.


Una filiale del Monte dei Paschi di Siena.

Il costo dei conti correnti in Italia è ancora troppo alto, con una media annua che, nel 2012, si è attestata sui 300 euro. È quanto è risultato da un'indagine di Adusbef e Federconsumatori che ha preso in esame i dati delle 10 maggiori banche italiane (Unicredit, Intesa San Paolo, Bnl, Mps, Banca Popolare, Carige, Popolare di Milano, Banca Sella, Popolare di Vicenza, Credem), esaminando tassi, costi, spese e condizioni con l'Indicatore sintetico di costo (Isc).
CIFRE DIVERSE DA QUELLE DI BANKITALIA. Secondo lo studio, il monitoraggio sui più importanti istituti di credito del Paese ha attestato che il costo medio di gestione di un conto corrente con 'profilo a bassa operatività', varia dai 238,35 euro della Bnl ai 337,18 di Unicredit, dai 273,20 di Intesa San Paolo ai 438,70 della Banca Popolare di Vicenza, con una media ponderata Isc pari a 320,5 euro. Cifre decisamente maggiori di quelle indicate da Bankitalia, secondo cui i costi dei conti correnti sarebbero in calo.
COSTO DI UN'ISTRUTTORIA FINO A 50 EURO. In base all'indagine, pagare una bolletta costa fino a quattro euro (Bnl), per un bonifico cinque euro (Popolare Vicenza), saldare la rata Imu arriva a costare 10 euro (Mps) e una rata di affitto cinque euro (Unicredit). Sconfinare sul conto costa il 20% al Banco Popolare. Ma gli interessi sulle somme depositate sono pari allo 0,010 in Bnl, Unicredit, Intesa San Paolo e Popolare di Vicenza. Un'istruttoria veloce costa 50 euro alla Carige e all' Unicredit, 40 euro alla Popolare di Milano e 30 euro al Banco Popolare. Se si ha intenzione di prelevare da uno sportello diverso della propria banca è applicato un costo di due euro in media. La spesa massima è imposta da Banca Popolare di Vicenza con 2,20 euro, la minima da Banca Sella con 1,81 euro. Unicredit non impone spese se non ha agenzie nel comune dove si effettua il prelievo.
UNICREDIT, BONIFICI D'ORO. Capitolo bonifici. Per quelli in Italia con addebito in conto, il costo medio se presso altra banca si aggira attorno ai 4,60 euro. La più costosa è risultata essere Unicredit con 5,25 seguita da Banca Popolare di Milano e da Banca Polare di Vicenza (con cinque euro). La più economica è Banca Sella con 3,50 euro a operazione. Presso la stessa banca invece la più conveniente è risultata essere il Credem con 2,37 euro.
«Un forte problema di metodologia»


La sede centrale della Banca d'Italia a Roma.

La differenza tra i costi di conto corrente rilevati dai consumatori e da Bankitalia è dovuta a «un forte problema di metodologia». Lo spiegano fonti di Via Nazionale, precisando che l'indagine di Bankitalia si basa sui costi effettivi rilevati sugli estratti conto 2012 di un campione significativo di conti correnti e sportelli, tenendo anche conto di varie tipologie di banche, aree geografiche e altre variabili socio-demografiche.
«UN'INDAGINE SU DATI EFFETTIVI». Quindi l'indagine «si fonda sull'operatività realmente sostenuta e non su dati presunti». Tra questi ci possono essere quelli evidenziati sui fogli informativi. Infatti, spiegano le fonti di Bankitalia, l'Isc pubblicato dalle banche sui fogli informativi e quindi su Patti Chiari e altre fonti pubbliche tiene conto di profili di operatività presunta predefiniti nella normativa e non considera agevolazioni o clausole particolari che possono far discostare il costo effettivo verso il basso o l'alto. I dati Bankitalia, concludono le fonti di Via Nazionale, mettono in evidenza una tendenza a una riduzione dei costi.

Ancora un altro. Houston qui é meglio evacuare. Non c'é un problema, c'é un terremoto.



Alessio Tacconi, la diaria e gli elettori del MoVimento 5 Stelle
di Alessandro D'Amato  - 29/06/2013 - Sulla sua pagina Facebook e sul profilo personale sono molto chiari



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Alessio Tacconi è un deputato del MoVimento 5 Stelle spesso molto critico sulla gestione di Beppe Grillo. E’ finito anche un po’ nei guai per alcune dichiarazioni sulla diaria, che non gli basterebbe per vivere in quanto lui è cittadino svizzero. E’ dato in uscita dal MoVimento e i militanti hanno tanta voglia di farsi sentire sulla sua pagina Facebook e sul profilo pubblico:

Gli elettori del MoVimento 5 Stelle hanno intenzioni chiare:

Chiarissime:

Limpide:

Ora, magari bisognerebbe ricordare che la faccenda della diaria non era tra gli impegni firmati prima di entrare in parlamento, e che è stata oggetto di una seconda votazione con vittoria a maggioranza per la restituzione. Ma è meglio continuare ad osservare come si sviluppa il dibattito su Facebook:

Dove si continua a ricordare a Tacconi qual è il problema:

Insomma, Tacconi rischia di essere il prossimo a lasciare. O a essere spinto fuori. Dal “popolo”.

Ma un paese ancora non sa come é morto Il povero Moro come può fidarsi di della politica?



Vitantonio Raso: "Ero in via Caetani, da Aldo Moro, un'ora prima della telefonata delle Br. C'era Francesco Cossiga"
Ansa  |  Pubblicato: 29/06/2013 14:31 CEST  |  Aggiornato: 29/06/2013 21:02 CEST


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SEGUI: Aldo Moro, Aldo Moro Via Caetani, Brigate Rosse, Vitantonio Raso, Aldo Moro Brigate Rosse, Aldo Moro Francesco Cossiga, Br, Br Aldo Moro, Brigate Rosse Aldo Moro, Cossiga, cronaca, Francesco Cossiga, Moro Aldo, Moro Cossiga, Moro Via Caetani, Notizie, Omicidio Moro, Raso, Via Caetani Aldo Moro, Via Caetani Moro, Via Caetani, Notizie
L'ANSA Vito Antonio Raso proprio in via Caetani, a 35 anni di distanza. Ha da poco pubblicato un libro di memorie (“La bomba umana” ed. Seneca) nel quale ripercorre tutta la sua vita, a partire dall'infanzia trascorsa in un tranquillo paesino del salernitano per giungere alle sue missioni di artificiere durante le quali ha convissuto con il pericolo rischiando, più di una volta, la vita.

Dopo l’uscita del tuo libro hai rilasciato molte interviste. Ma quello che stai per aggiungere oggi è una novità importante ai fini della comprensione di cosa sia successo quella mattina in via Caetani…
E’ vero. Ma voglio precisare che con il mio racconto non intendo accusare nessuno e non mi spinge nessun desiderio di rivalsa o di protagonismo. Sono stato un servitore ]dello Stato per tanti anni e rifarei tutto ciò che ho fatto, con la stessa abnegazione e con lo stesso spirito di sacrificio. Intendo solo aggiungere alcuni particolari che, dopo aver studiato meglio la vicenda, ritengo possano essere utili.

Non ti sei mai documentato sul caso Moro? No. Ed è stata una mia precisa scelta. Non sono mai più ripassato nemmeno da via Caetani nonostante sia stato a Roma sino al 2008. Oggi ho accettato il vostro invito per l’importanza di ciò che voglio aggiungere. Ma posso assicurarvi che per me è una enorme sofferenza.


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Aldo Moro, la R4 in Via Caetani
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Avanti
Vito, cominciamo da quei 55 giorni… Ero già intervenuto la mattina del 16 marzo in via Fani. Mi chiamarono perché qualche testimone aveva raccontato che gli assalitori prima di fuggire avevano gettato nelle macchine coinvolte nell’agguato degli oggetti. Si temeva che potessero essere ordigni. Da allora, il Ministro Cossiga, pretese che fosse richiesta la presenza di un artificiere in ogni occasione ci si fosse trovati di fronte a materiale proveniente dalle BR. Ed in effetti intervenni anche in più occasioni in via Licinio Calvo (dove furono rinvenute in tre momenti diverse le auto utilizzate dai brigatisti per la fuga, nda), in via Gradoli ed, infine, in via Caetani. Me ne occupai sempre io per il semplice motivo che in via Fani avevo lasciato le mie impronte…

Che ricordo ne porti dentro? Come accennavo prima, anche se sono passati tanti anni, quando torna questo periodo per me è sempre un trauma. E’ un rivivere lo choc ed il dispiacere di aver visto morire dei colleghi e di un’ulteriore morte che non credevo mai si fosse si sarebbe consumata.

Il 9 maggio mattina eri in ufficio quando… Da premettere che io lavoravo in borghese mentre quella mattina mi ero recato in ufficio in divisa perché alle 11 mi sarei dovuto recare a colloquio dal mio superiore nel COMMILITER, il Gen. Santovito, che aveva chiesto di parlarmi.

Il Gen. Santovito era, all’epoca, anche a capo del neocostituito SISMI. E di cosa avrebbe dovuto parlarti? Dato gli eventi che si susseguirono l’appuntamento fu annullato ed io non ho più saputo quale fosse l’argomento oggetto della sua richiesta di colloquio. Sta di fatto che io a quell’appuntamento non potetti andare.

Come si evolsero gli eventi? Ero in attesa di essere accompagnato in Piazza Ungheria (sede del COMMILITER) quando in ufficio si presentarono i “ragazzi” della volante 23 della Polizia, che conoscevo benissimo e che di solito mi passavano a prendere per portarmi sui luoghi ove era necessario il mio intervento di artificiere.

Quindi prima delle 11? Sicuramente.

Quanto prima? A distanza di anni è difficile ricordare un orario preciso, ma credo tra le 10.30 e le 10.45.

E ti portarono in via Caetani… Questo lo seppi solo al mio arrivo. Quando salii in macchina mi resi subito conto che la situazione era strana. In genere il capo equipaggio dell’auto che mi veniva a prelevare, mi dava le prime indicazioni sull’intervento che mi era richiesto. Insomma le classiche informazioni che a me servivano per iniziare a prepararmi. Quella mattina, però, non fu così. Nessuno apriva bocca e allora iniziai a fare domande: “Dove andiamo? Di che tipo di segnalazione si tratta?”. Ma le risposte erano vaghe tanto da farmi irritare e quasi prendermela con quei ragazzi che poi non c’entravano nulla. “Andiamo in centro… Ci hanno detto di portarti li…”

Quanto tempo impiegaste per arrivare a destinazione? Non molto. Da Piazza San Giovanni in Laterano saranno 5-6 Km, non di più. Considerando che in genere procedevamo ad andatura elevata (e questo mi ha comportato anche 4 incidenti durante il servizio) potremmo averci impiegato un quarto d’ora venti minuti. Arrivammo su via delle Botteghe Oscure e ci fermammo all’imbocco di via Caetani. La situazione era tranquilla: non c’erano transennamenti o un blocco del traffico che facessero pensare ad un pericolo bomba. Il capo equipaggio mi fece scendere e mi indicò di avviarmi nella stradina dove mi stava aspettando un funzionario di Polizia che mi avrebbe dato le indicazioni del caso.

Ascolta: la telefonata delle Br al prof. Tritto

Chi era? Mi si fece incontro un uomo che si presentò con un “Salve, sono il Commissario Federico Vito. Vito è il cognome…”. Al che a me venne spontaneo ricambiare la battuta con “Piacere. Vito Raso. Vito è il nome”

Quindi il commissario Federico Vito era già in via Caetani nei pressi della R4. Da quanto tempo era li? Questo non lo so, non gliel’ho chiesto. Di sicuro prima di me, da un bel po’ visto che il capo pattuglia della volante 23 ne era al corrente.

C’era qualcun altro assieme a lui? Lui era solo, di questo sono sicuro. E la strada era deserta, non c’era gente attorno alla Renault.

Attorno alle 11.15, quindi, incontrasti il Commissario Vito? Cosa ti disse? Anche lui fu molto vago. Mi disse che c’era da controllare la R4 perché era stata ricevuta una telefonata anonima e si riteneva che dentro potesse esserci una bomba. Al che io mi misi subito ad analizzare dall’esterno la vettura, facendo un giro di ispezione attorno all’auto e scrutando anche attraverso i finestrini. Nella parte anteriore notai subito qualcosa che rendeva pericolosa l’auto: oltre a della sabbia nera, dei bossoli esplosi erano posti sul tappetino anteriore sia dal lato guidatore che passeggero. Questa cosa mi allarmò e quindi usai molta accortezza nell’avvicinarmi. Dato che era un’auto che conoscevo molto bene iniziai a studiare una strategia per riuscire ad entrarvi con il minimo rischio. Mentre ero li che, sempre sotto il controllo del funzionario di Polizia, giravo attorno alla macchina si avvicinò una ragazza vestita in un modo che definirei “alternativo” che mi chiese a bruciapelo: “E’ vero che in quella macchina c’è il cadavere di Aldo Moro?”. Cercai di mantenere la calma per evitare di mandarla a quel paese anche perché, conoscendo bene il bagagliaio e sapendo che Moro era di statura non certo piccola, non avrei mai pensato che sarebbe potuto entrare in quel piccolo spazio. Ma tant’è.

Una ragazza…Saresti in grado di riconoscerla? Ritengo di si. Era alta, magra, capelli scuri. Ricordo che comparve all’improvviso in strada e pochi secondi prima avevo udito il rumore di un portone che sbatteva. Come se fosse uscita da un palazzo all’inizio di via Caetani (lato Botteghe Oscure nda).

L’Unità, un paio di giorni dopo il 9 maggio, parlò di un testimone che aveva visto, verso le 8 del mattino, parcheggiare la R4 da un uomo ed una donna. L’uomo basso e tarchiato, la donna magra e slanciata. Potrebbe trattarsi della stessa ragazza? E chi può dirlo questo…

Quindi la ragazza si allontanò e tu iniziasti ad entrare nella macchina Non subito. Mentre ero li che guardavo l’auto dubbioso, vidi avvicinarsi un gruppetto di persone che da via delle Botteghe Oscure si dirigevano verso l’auto. Li riconobbi subito ed era evidente fossero interessati anche loro alla Renault.

Di chi si trattava? Riconobbi il capo della Digos romana Domenico Spinella, il comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri Colonnello Cornacchia, ed il Ministro Cossiga.

Mi rendo conto che è passato molto tempo, ma sarebbe importante collocare questo incontro temporalmente… Non era passato molto tempo da quando ero arrivato sul luogo, una decina di minuti.

Quindi erano passate da poco le 11.30 Si, più o meno. E ricordo due particolari che ho ancora impressi nella mente. Il Colonnello Cornacchia mi rimproverò con un “Lei che è un militare, non si vergogna ad andare in giro così?” alludendo ai miei capelli che non erano proprio cortissimi. Avrei voluto rispondergli che venivo da due mesi in cui avevo dormito poco, fatto gli straordinari e rischiato la vita ogni giorno, ma lasciai stare. Il Ministro Cossiga, invece, mi chiese a bruciapelo: “Raso, che ne pensa di questa macchina?” Io lo guardai e con aria preoccupata risposi: “Ministro, si tratta di un’auto molto pericolosa. Ho notato al suo interno dei bossoli. E’ necessario lavorarci con molta attenzione ma alla svelta.” “Bene – mi rispose – Mi tenga informato.”. E nel dire questo si riallontanò assieme alle persone con le quali era arrivato dando ordine di far transennare la via da entrambe le direzioni per non far avvicinare nessuno, come da procedura.

Un momento Vito. Stai dicendo che quella mattina tu hai visto il Ministro Cossiga in via Caetani molto prima delle immagini ufficiali che sono collocate ben oltre le 13.30 e che mostrano i vari politici accorsi dopo la notizia data dalle agenzie quando, tra l’altro, la strada era già affollata e transennata? Assolutamente si. Io vidi il Ministro Cossiga due volte. Poco dopo il mio arrivo in via Caetani e poi dopo un’ora e mezza due, quando terminai il mio lavoro di ispezione dentro la macchina.

Cossiga va via assieme agli altri personaggi che lo accompagnavano e tu inizi il tuo lavoro… Per prima cosa mi pongo il problema di come entrare in auto. Con molta attenzione forzo il finestrino anteriore sinistro e sblocco la serratura. Inizio l’ispezione dell’auto che, per fortuna, conoscevo molto bene in quanto mio padre possedeva proprio una R4 e con essa feci le prime esperienze di guida. Sempre muovendomi con molta cautela, controllai i tappetini anteriori, il cruscotto, frugai sotto i sedili alla ricerca di qualche elemento che mi desse conferma della presenza di un ordigno a bordo. L’operazione durò molto tempo in quanto ogni movimento era studiato ed effettuato con la massima delicatezza. Dopo aver terminato di controllare la parte anteriore della macchina, sempre dall’interno, mi spostai sul sedile posteriore e, dopo una breve ispezione, la mia attenzione fu catturata dal vano bagagli che, nella R4, è un tutt’uno con l’abitacolo.

Cosa notasti? Mi resi conto che c’era una coperta che copriva qualcosa, e lì la mia preoccupazione salì. Essendo sconsigliato spostare la coperta perché poteva essere collegata ad un ordigno a strappo, provai a metterci una mano sotto. Toccai qualcosa, una “peluria” che in un primo momento attribuii al pelo di un cane. Non capivo, ero disorientato. Poi notai che, appoggiato sulla coperta, c’era un borsello e lo presi. Non fidandomi troppo, con un taglierino troncai la cinghia che lo teneva chiuso e, oltre ad un orologio ed una catenina, trovai un assegno di 27.000 lire dell’allora Banco di S. Spirito intestato ad Aldo Moro. Fu in quel momento che capii che sotto quella coperta c’era il Presidente della DC.

Pensasti allora che la ragazza aveva ragione? No, non subito. Sia perché ero convinto che le Brigate Rosse avrebbero rilasciato il loro prigioniero vivo sia perché non lo riconobbi subito. Aveva un volto più magro di quello che ero abituato a vedere in TV, quella barba piuttosto folta, la posizione rannicchiata, quasi fetale. Dopo qualche secondo notai l’inconfondibile segno che identificava Moro e cioè la ciocca di capelli bianca, la sua caratteristica “frezza”. Era immobile ed il mio primo pensiero fu che lo avevano narcotizzato. Poi notai tre cose: molta sabbia nera, delle ampie macchie di sangue fresco sul petto in corrispondenza di fori di arma da fuoco e un fazzoletto di carta sotto al bavero della giacca posto come a voler tamponare le ferite. Fu la vista di quel sangue a darmi la certezza che in quell’auto le Brigate Rosse ci avevano riconsegnato il cadavere di Aldo Moro.

Che ora si era fatta? Non so collocare i singoli momenti nel tempo. In auto ero stato un’ora, un’ora e mezza. Dopo aver fatto la scoperta, mi appoggiai al sedile posteriore e rimasi qualche minuto ad osservare il volto di Moro, da solo con i miei pensieri. Fu anche un modo per scaricare la tensione che si era accumulata. E fu allora che notai un particolare.

Quale? Come dicevo prima, il 16 marzo ero intervenuto in via Fani. Ero arrivato non troppo tempo dopo la conclusione dell’agguato (mezz’ora massimo tre quarti d’ora) e i cadaveri dei poveri agenti erano ancora scoperti. Mentre mi occupavo del presunto ordigno che fu trovato ai piedi dell’autista di Moro, Appuntato Ricci, mi sporcai del suo sangue che era ancora fresco e che colava dalle sue ferite. Ebbene, il sangue che ebbi modo di vedere sul petto di Moro, era dello stesso colore e fluidità di quello visto in via Fani.

Come se fosse stato ammazzato da non più di un’ora, insomma… Si, ebbi proprio quell’impressione.

A chi comunicasti la notizia? Aprii lo sportello posteriore destro ed uscii dalla macchina. Il gruppetto di personaggi assieme a Cossiga era in fondo alla strada e io gli feci cenno di avvicinarsi. Quando furono abbastanza vicini, parlando a voce bassa per non farmi ascoltare da orecchie indiscrete dissi: “Ministro, dentro quell’auto c’è il cadavere di Aldo Moro”.

Cossiga e gli altri che reazione ebbero? Assolutamente nessuna. Restarono impassibili. Nessun segno di sgomento o stupore, nè lui e neppure gli altri funzionari che gli erano accanto. Come se già sapessero.

Come se già sapessero o come se fossero stupiti, increduli, della notizia? Non avevano l’aria di essere stupiti. Ho avuto la netta sensazione che per loro non fosse una novità.

Dopo avergli dato la notizia, Cossiga ti chiese altro? Mi fu chiesto di controllare tutte le auto parcheggiate li vicino prima di aprire il portellone posteriore. Ma la mia risposta fu secca: “Non se ne parla nemmeno, Ministro…” Ero stremato, sia per lo stress di quella mattina sia per la fatica delle settimane precedenti. Chiesi rinforzi. E fu così che furono richiamati altri due colleghi che stavano disinnescando un ordigno a Cassino per darmi una mano. Finchè non giunsero anche loro, la gente fu tenuta a distanza dalla macchina e io tirai un po’ il fiato.

Casertano e Circhetta, come si legge nei verbali… Si. Casertano si occupò delle altre auto in sosta mentre Circhetta mi aiutò ad aprire il portellone. Infilando una lastra nella fessura del portellone, mi ero infatti accorto che era chiuso a chiave. Utilizzando una grossa tronchese (una specie di maxi-apriscatole) iniziai a tagliare la lamiera della R4 attorno alla serratura.

Questo è anche documentato dalle immagini. Infatti. Dopo alcuni minuti, assieme al collega riuscimmo a procurarci un varco nella lamiera e, dopo aver controllato che nei pressi della serratura non vi fossero fili elettrici che facessero pensare ad un congegno di innesco, aprimmo il portellone.

E’ il momento in cui la storia si svela in tutta la sua drammaticità. Molti erano li perché si era sparsa voce di un’auto-bomba, altre voci parlavano di Moro, ma ciascuno, in cuor suo, nutriva ancora un lume di speranza. Poco dopo l’apertura si avvicinò un prete che poi seppi essere Don Damiani, prete personale di Moro. Mi chiese se poteva benedire la salma e, naturalmente, acconsentii. Essendo un credente, anche io mi raccolsi in preghiera.

C’è un verbale del Commissario Vito che indica il tuo intervento alle 12.30, un altro verbale dei periti nel quale siete citati anche voi artificieri. Ma non ho trovato nessuna relazione di servizio a tuo nome. Ciascuno di noi al rientro da un intervento scriveva un resoconto dei fatti e lo consegnava al capoufficio. Quel pomeriggio, al termine dell’intervento in via Caetani, rientrai in ufficio e scrissi il mio resoconto. Nel consegnarlo il mio capoufficio ebbe una reazione insolita. “Ma che cavolo hai scritto?” alludendo al mio italiano o forse alla forma complessiva del mio scritto. Forse a causa della stanchezza non ero stato molto chiaro, ma non mi era mai successo che un “rapporto di servizio” mi venisse strappato in faccia.

Quindi del tuo intervento di quella mattina non esiste traccia? Il Maresciallo Circhetta era accanto a me e si propose per farne uno cumulativo dell’intervento di tutti e tre. E così fu fatto.

E cosa c’era scritto nel rapporto? Si parlava dei due momenti distinti di arrivo sul luogo? Questo non lo so. Non l’ho mai letto. A distanza di 35 anni hai deciso di scrivere un libro che hai intitolato “La bomba umana”. Anche se nel testo parli solo marginalmente della mattina del 9 maggio, immagino che fossi consapevole che qualcuno avrebbe potuto chiederti degli orari… Ho deciso di scrivere un libro di memorie anche perché negli anni ho ascoltato di tutto. Persone che non ne sapevano nulla (non avendo vissuto in prima persona la vicenda) ma che sentivano il bisogno di parlare, dicendo un sacco di inesattezze. Ho voluto raccontare la mia storia consapevole del fatto che, in questo mio racconto, ci sia un ordigno a tempo che prima o poi esploderà. E’ un titolo, in qualche misura, autobiografico…

Questa tua storia rappresenta la prova fattuale che alcune ipotesi sono fondate. Che quella mattina lo Stato seppe molto presto (con grande anticipo sugli orari ufficiali) che Moro era stato ucciso e che il suo cadavere era in via Caetani, che qualcuno si occupò di controllare che la notizia non venisse divulgata e che solo nella tarda mattinata si espose al mondo la scena del delitto. Come mai? Che idea ti sei fatto? A questa domanda non so rispondere. E’ chiaro che c’è una enorme discordanza con quanto affermano le ricostruzioni. La telefonata delle 12.13 fu assolutamente inutile in quanto Moro era li da oltre due ore ed evidentemente chi doveva saperlo ne era al corrente. Mi sono sempre detto che qualcosa non quadrava, ma non ho mai voluto approfondire, non me ne sono mai interessato. La decisione di scrivere il libro, forse, nasce anche dalla speranza che qualcuno riesca a dare una risposta a questi interrogativi. Io ho raccontato quella che è la mia testimonianza, che nessun magistrato e nessuna commissione d’inchiesta mi hanno mai chiesto. So che a 35 anni di distanza sarà difficile ma spero lo stesso che le mie parole possano servire a fare un po’ più di luce su una vicenda che, ancora oggi, rappresenta per me un forte shock. Con il quale non ho ancora imparato a convivere.


Aldo Moro, un giallo italiano
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Ma un paese ancora non sa come é morto Il povero Moro come può fidarsi di della politica?



Vitantonio Raso: "Ero in via Caetani, da Aldo Moro, un'ora prima della telefonata delle Br. C'era Francesco Cossiga"
Ansa  |  Pubblicato: 29/06/2013 14:31 CEST  |  Aggiornato: 29/06/2013 21:02 CEST


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SEGUI: Aldo Moro, Aldo Moro Via Caetani, Brigate Rosse, Vitantonio Raso, Aldo Moro Brigate Rosse, Aldo Moro Francesco Cossiga, Br, Br Aldo Moro, Brigate Rosse Aldo Moro, Cossiga, cronaca, Francesco Cossiga, Moro Aldo, Moro Cossiga, Moro Via Caetani, Notizie, Omicidio Moro, Raso, Via Caetani Aldo Moro, Via Caetani Moro, Via Caetani, Notizie
L'ANSA Vito Antonio Raso proprio in via Caetani, a 35 anni di distanza. Ha da poco pubblicato un libro di memorie (“La bomba umana” ed. Seneca) nel quale ripercorre tutta la sua vita, a partire dall'infanzia trascorsa in un tranquillo paesino del salernitano per giungere alle sue missioni di artificiere durante le quali ha convissuto con il pericolo rischiando, più di una volta, la vita.

Dopo l’uscita del tuo libro hai rilasciato molte interviste. Ma quello che stai per aggiungere oggi è una novità importante ai fini della comprensione di cosa sia successo quella mattina in via Caetani…
E’ vero. Ma voglio precisare che con il mio racconto non intendo accusare nessuno e non mi spinge nessun desiderio di rivalsa o di protagonismo. Sono stato un servitore ]dello Stato per tanti anni e rifarei tutto ciò che ho fatto, con la stessa abnegazione e con lo stesso spirito di sacrificio. Intendo solo aggiungere alcuni particolari che, dopo aver studiato meglio la vicenda, ritengo possano essere utili.

Non ti sei mai documentato sul caso Moro? No. Ed è stata una mia precisa scelta. Non sono mai più ripassato nemmeno da via Caetani nonostante sia stato a Roma sino al 2008. Oggi ho accettato il vostro invito per l’importanza di ciò che voglio aggiungere. Ma posso assicurarvi che per me è una enorme sofferenza.


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Aldo Moro, la R4 in Via Caetani
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Vito, cominciamo da quei 55 giorni… Ero già intervenuto la mattina del 16 marzo in via Fani. Mi chiamarono perché qualche testimone aveva raccontato che gli assalitori prima di fuggire avevano gettato nelle macchine coinvolte nell’agguato degli oggetti. Si temeva che potessero essere ordigni. Da allora, il Ministro Cossiga, pretese che fosse richiesta la presenza di un artificiere in ogni occasione ci si fosse trovati di fronte a materiale proveniente dalle BR. Ed in effetti intervenni anche in più occasioni in via Licinio Calvo (dove furono rinvenute in tre momenti diverse le auto utilizzate dai brigatisti per la fuga, nda), in via Gradoli ed, infine, in via Caetani. Me ne occupai sempre io per il semplice motivo che in via Fani avevo lasciato le mie impronte…

Che ricordo ne porti dentro? Come accennavo prima, anche se sono passati tanti anni, quando torna questo periodo per me è sempre un trauma. E’ un rivivere lo choc ed il dispiacere di aver visto morire dei colleghi e di un’ulteriore morte che non credevo mai si fosse si sarebbe consumata.

Il 9 maggio mattina eri in ufficio quando… Da premettere che io lavoravo in borghese mentre quella mattina mi ero recato in ufficio in divisa perché alle 11 mi sarei dovuto recare a colloquio dal mio superiore nel COMMILITER, il Gen. Santovito, che aveva chiesto di parlarmi.

Il Gen. Santovito era, all’epoca, anche a capo del neocostituito SISMI. E di cosa avrebbe dovuto parlarti? Dato gli eventi che si susseguirono l’appuntamento fu annullato ed io non ho più saputo quale fosse l’argomento oggetto della sua richiesta di colloquio. Sta di fatto che io a quell’appuntamento non potetti andare.

Come si evolsero gli eventi? Ero in attesa di essere accompagnato in Piazza Ungheria (sede del COMMILITER) quando in ufficio si presentarono i “ragazzi” della volante 23 della Polizia, che conoscevo benissimo e che di solito mi passavano a prendere per portarmi sui luoghi ove era necessario il mio intervento di artificiere.

Quindi prima delle 11? Sicuramente.

Quanto prima? A distanza di anni è difficile ricordare un orario preciso, ma credo tra le 10.30 e le 10.45.

E ti portarono in via Caetani… Questo lo seppi solo al mio arrivo. Quando salii in macchina mi resi subito conto che la situazione era strana. In genere il capo equipaggio dell’auto che mi veniva a prelevare, mi dava le prime indicazioni sull’intervento che mi era richiesto. Insomma le classiche informazioni che a me servivano per iniziare a prepararmi. Quella mattina, però, non fu così. Nessuno apriva bocca e allora iniziai a fare domande: “Dove andiamo? Di che tipo di segnalazione si tratta?”. Ma le risposte erano vaghe tanto da farmi irritare e quasi prendermela con quei ragazzi che poi non c’entravano nulla. “Andiamo in centro… Ci hanno detto di portarti li…”

Quanto tempo impiegaste per arrivare a destinazione? Non molto. Da Piazza San Giovanni in Laterano saranno 5-6 Km, non di più. Considerando che in genere procedevamo ad andatura elevata (e questo mi ha comportato anche 4 incidenti durante il servizio) potremmo averci impiegato un quarto d’ora venti minuti. Arrivammo su via delle Botteghe Oscure e ci fermammo all’imbocco di via Caetani. La situazione era tranquilla: non c’erano transennamenti o un blocco del traffico che facessero pensare ad un pericolo bomba. Il capo equipaggio mi fece scendere e mi indicò di avviarmi nella stradina dove mi stava aspettando un funzionario di Polizia che mi avrebbe dato le indicazioni del caso.

Ascolta: la telefonata delle Br al prof. Tritto

Chi era? Mi si fece incontro un uomo che si presentò con un “Salve, sono il Commissario Federico Vito. Vito è il cognome…”. Al che a me venne spontaneo ricambiare la battuta con “Piacere. Vito Raso. Vito è il nome”

Quindi il commissario Federico Vito era già in via Caetani nei pressi della R4. Da quanto tempo era li? Questo non lo so, non gliel’ho chiesto. Di sicuro prima di me, da un bel po’ visto che il capo pattuglia della volante 23 ne era al corrente.

C’era qualcun altro assieme a lui? Lui era solo, di questo sono sicuro. E la strada era deserta, non c’era gente attorno alla Renault.

Attorno alle 11.15, quindi, incontrasti il Commissario Vito? Cosa ti disse? Anche lui fu molto vago. Mi disse che c’era da controllare la R4 perché era stata ricevuta una telefonata anonima e si riteneva che dentro potesse esserci una bomba. Al che io mi misi subito ad analizzare dall’esterno la vettura, facendo un giro di ispezione attorno all’auto e scrutando anche attraverso i finestrini. Nella parte anteriore notai subito qualcosa che rendeva pericolosa l’auto: oltre a della sabbia nera, dei bossoli esplosi erano posti sul tappetino anteriore sia dal lato guidatore che passeggero. Questa cosa mi allarmò e quindi usai molta accortezza nell’avvicinarmi. Dato che era un’auto che conoscevo molto bene iniziai a studiare una strategia per riuscire ad entrarvi con il minimo rischio. Mentre ero li che, sempre sotto il controllo del funzionario di Polizia, giravo attorno alla macchina si avvicinò una ragazza vestita in un modo che definirei “alternativo” che mi chiese a bruciapelo: “E’ vero che in quella macchina c’è il cadavere di Aldo Moro?”. Cercai di mantenere la calma per evitare di mandarla a quel paese anche perché, conoscendo bene il bagagliaio e sapendo che Moro era di statura non certo piccola, non avrei mai pensato che sarebbe potuto entrare in quel piccolo spazio. Ma tant’è.

Una ragazza…Saresti in grado di riconoscerla? Ritengo di si. Era alta, magra, capelli scuri. Ricordo che comparve all’improvviso in strada e pochi secondi prima avevo udito il rumore di un portone che sbatteva. Come se fosse uscita da un palazzo all’inizio di via Caetani (lato Botteghe Oscure nda).

L’Unità, un paio di giorni dopo il 9 maggio, parlò di un testimone che aveva visto, verso le 8 del mattino, parcheggiare la R4 da un uomo ed una donna. L’uomo basso e tarchiato, la donna magra e slanciata. Potrebbe trattarsi della stessa ragazza? E chi può dirlo questo…

Quindi la ragazza si allontanò e tu iniziasti ad entrare nella macchina Non subito. Mentre ero li che guardavo l’auto dubbioso, vidi avvicinarsi un gruppetto di persone che da via delle Botteghe Oscure si dirigevano verso l’auto. Li riconobbi subito ed era evidente fossero interessati anche loro alla Renault.

Di chi si trattava? Riconobbi il capo della Digos romana Domenico Spinella, il comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri Colonnello Cornacchia, ed il Ministro Cossiga.

Mi rendo conto che è passato molto tempo, ma sarebbe importante collocare questo incontro temporalmente… Non era passato molto tempo da quando ero arrivato sul luogo, una decina di minuti.

Quindi erano passate da poco le 11.30 Si, più o meno. E ricordo due particolari che ho ancora impressi nella mente. Il Colonnello Cornacchia mi rimproverò con un “Lei che è un militare, non si vergogna ad andare in giro così?” alludendo ai miei capelli che non erano proprio cortissimi. Avrei voluto rispondergli che venivo da due mesi in cui avevo dormito poco, fatto gli straordinari e rischiato la vita ogni giorno, ma lasciai stare. Il Ministro Cossiga, invece, mi chiese a bruciapelo: “Raso, che ne pensa di questa macchina?” Io lo guardai e con aria preoccupata risposi: “Ministro, si tratta di un’auto molto pericolosa. Ho notato al suo interno dei bossoli. E’ necessario lavorarci con molta attenzione ma alla svelta.” “Bene – mi rispose – Mi tenga informato.”. E nel dire questo si riallontanò assieme alle persone con le quali era arrivato dando ordine di far transennare la via da entrambe le direzioni per non far avvicinare nessuno, come da procedura.

Un momento Vito. Stai dicendo che quella mattina tu hai visto il Ministro Cossiga in via Caetani molto prima delle immagini ufficiali che sono collocate ben oltre le 13.30 e che mostrano i vari politici accorsi dopo la notizia data dalle agenzie quando, tra l’altro, la strada era già affollata e transennata? Assolutamente si. Io vidi il Ministro Cossiga due volte. Poco dopo il mio arrivo in via Caetani e poi dopo un’ora e mezza due, quando terminai il mio lavoro di ispezione dentro la macchina.

Cossiga va via assieme agli altri personaggi che lo accompagnavano e tu inizi il tuo lavoro… Per prima cosa mi pongo il problema di come entrare in auto. Con molta attenzione forzo il finestrino anteriore sinistro e sblocco la serratura. Inizio l’ispezione dell’auto che, per fortuna, conoscevo molto bene in quanto mio padre possedeva proprio una R4 e con essa feci le prime esperienze di guida. Sempre muovendomi con molta cautela, controllai i tappetini anteriori, il cruscotto, frugai sotto i sedili alla ricerca di qualche elemento che mi desse conferma della presenza di un ordigno a bordo. L’operazione durò molto tempo in quanto ogni movimento era studiato ed effettuato con la massima delicatezza. Dopo aver terminato di controllare la parte anteriore della macchina, sempre dall’interno, mi spostai sul sedile posteriore e, dopo una breve ispezione, la mia attenzione fu catturata dal vano bagagli che, nella R4, è un tutt’uno con l’abitacolo.

Cosa notasti? Mi resi conto che c’era una coperta che copriva qualcosa, e lì la mia preoccupazione salì. Essendo sconsigliato spostare la coperta perché poteva essere collegata ad un ordigno a strappo, provai a metterci una mano sotto. Toccai qualcosa, una “peluria” che in un primo momento attribuii al pelo di un cane. Non capivo, ero disorientato. Poi notai che, appoggiato sulla coperta, c’era un borsello e lo presi. Non fidandomi troppo, con un taglierino troncai la cinghia che lo teneva chiuso e, oltre ad un orologio ed una catenina, trovai un assegno di 27.000 lire dell’allora Banco di S. Spirito intestato ad Aldo Moro. Fu in quel momento che capii che sotto quella coperta c’era il Presidente della DC.

Pensasti allora che la ragazza aveva ragione? No, non subito. Sia perché ero convinto che le Brigate Rosse avrebbero rilasciato il loro prigioniero vivo sia perché non lo riconobbi subito. Aveva un volto più magro di quello che ero abituato a vedere in TV, quella barba piuttosto folta, la posizione rannicchiata, quasi fetale. Dopo qualche secondo notai l’inconfondibile segno che identificava Moro e cioè la ciocca di capelli bianca, la sua caratteristica “frezza”. Era immobile ed il mio primo pensiero fu che lo avevano narcotizzato. Poi notai tre cose: molta sabbia nera, delle ampie macchie di sangue fresco sul petto in corrispondenza di fori di arma da fuoco e un fazzoletto di carta sotto al bavero della giacca posto come a voler tamponare le ferite. Fu la vista di quel sangue a darmi la certezza che in quell’auto le Brigate Rosse ci avevano riconsegnato il cadavere di Aldo Moro.

Che ora si era fatta? Non so collocare i singoli momenti nel tempo. In auto ero stato un’ora, un’ora e mezza. Dopo aver fatto la scoperta, mi appoggiai al sedile posteriore e rimasi qualche minuto ad osservare il volto di Moro, da solo con i miei pensieri. Fu anche un modo per scaricare la tensione che si era accumulata. E fu allora che notai un particolare.

Quale? Come dicevo prima, il 16 marzo ero intervenuto in via Fani. Ero arrivato non troppo tempo dopo la conclusione dell’agguato (mezz’ora massimo tre quarti d’ora) e i cadaveri dei poveri agenti erano ancora scoperti. Mentre mi occupavo del presunto ordigno che fu trovato ai piedi dell’autista di Moro, Appuntato Ricci, mi sporcai del suo sangue che era ancora fresco e che colava dalle sue ferite. Ebbene, il sangue che ebbi modo di vedere sul petto di Moro, era dello stesso colore e fluidità di quello visto in via Fani.

Come se fosse stato ammazzato da non più di un’ora, insomma… Si, ebbi proprio quell’impressione.

A chi comunicasti la notizia? Aprii lo sportello posteriore destro ed uscii dalla macchina. Il gruppetto di personaggi assieme a Cossiga era in fondo alla strada e io gli feci cenno di avvicinarsi. Quando furono abbastanza vicini, parlando a voce bassa per non farmi ascoltare da orecchie indiscrete dissi: “Ministro, dentro quell’auto c’è il cadavere di Aldo Moro”.

Cossiga e gli altri che reazione ebbero? Assolutamente nessuna. Restarono impassibili. Nessun segno di sgomento o stupore, nè lui e neppure gli altri funzionari che gli erano accanto. Come se già sapessero.

Come se già sapessero o come se fossero stupiti, increduli, della notizia? Non avevano l’aria di essere stupiti. Ho avuto la netta sensazione che per loro non fosse una novità.

Dopo avergli dato la notizia, Cossiga ti chiese altro? Mi fu chiesto di controllare tutte le auto parcheggiate li vicino prima di aprire il portellone posteriore. Ma la mia risposta fu secca: “Non se ne parla nemmeno, Ministro…” Ero stremato, sia per lo stress di quella mattina sia per la fatica delle settimane precedenti. Chiesi rinforzi. E fu così che furono richiamati altri due colleghi che stavano disinnescando un ordigno a Cassino per darmi una mano. Finchè non giunsero anche loro, la gente fu tenuta a distanza dalla macchina e io tirai un po’ il fiato.

Casertano e Circhetta, come si legge nei verbali… Si. Casertano si occupò delle altre auto in sosta mentre Circhetta mi aiutò ad aprire il portellone. Infilando una lastra nella fessura del portellone, mi ero infatti accorto che era chiuso a chiave. Utilizzando una grossa tronchese (una specie di maxi-apriscatole) iniziai a tagliare la lamiera della R4 attorno alla serratura.

Questo è anche documentato dalle immagini. Infatti. Dopo alcuni minuti, assieme al collega riuscimmo a procurarci un varco nella lamiera e, dopo aver controllato che nei pressi della serratura non vi fossero fili elettrici che facessero pensare ad un congegno di innesco, aprimmo il portellone.

E’ il momento in cui la storia si svela in tutta la sua drammaticità. Molti erano li perché si era sparsa voce di un’auto-bomba, altre voci parlavano di Moro, ma ciascuno, in cuor suo, nutriva ancora un lume di speranza. Poco dopo l’apertura si avvicinò un prete che poi seppi essere Don Damiani, prete personale di Moro. Mi chiese se poteva benedire la salma e, naturalmente, acconsentii. Essendo un credente, anche io mi raccolsi in preghiera.

C’è un verbale del Commissario Vito che indica il tuo intervento alle 12.30, un altro verbale dei periti nel quale siete citati anche voi artificieri. Ma non ho trovato nessuna relazione di servizio a tuo nome. Ciascuno di noi al rientro da un intervento scriveva un resoconto dei fatti e lo consegnava al capoufficio. Quel pomeriggio, al termine dell’intervento in via Caetani, rientrai in ufficio e scrissi il mio resoconto. Nel consegnarlo il mio capoufficio ebbe una reazione insolita. “Ma che cavolo hai scritto?” alludendo al mio italiano o forse alla forma complessiva del mio scritto. Forse a causa della stanchezza non ero stato molto chiaro, ma non mi era mai successo che un “rapporto di servizio” mi venisse strappato in faccia.

Quindi del tuo intervento di quella mattina non esiste traccia? Il Maresciallo Circhetta era accanto a me e si propose per farne uno cumulativo dell’intervento di tutti e tre. E così fu fatto.

E cosa c’era scritto nel rapporto? Si parlava dei due momenti distinti di arrivo sul luogo? Questo non lo so. Non l’ho mai letto. A distanza di 35 anni hai deciso di scrivere un libro che hai intitolato “La bomba umana”. Anche se nel testo parli solo marginalmente della mattina del 9 maggio, immagino che fossi consapevole che qualcuno avrebbe potuto chiederti degli orari… Ho deciso di scrivere un libro di memorie anche perché negli anni ho ascoltato di tutto. Persone che non ne sapevano nulla (non avendo vissuto in prima persona la vicenda) ma che sentivano il bisogno di parlare, dicendo un sacco di inesattezze. Ho voluto raccontare la mia storia consapevole del fatto che, in questo mio racconto, ci sia un ordigno a tempo che prima o poi esploderà. E’ un titolo, in qualche misura, autobiografico…

Questa tua storia rappresenta la prova fattuale che alcune ipotesi sono fondate. Che quella mattina lo Stato seppe molto presto (con grande anticipo sugli orari ufficiali) che Moro era stato ucciso e che il suo cadavere era in via Caetani, che qualcuno si occupò di controllare che la notizia non venisse divulgata e che solo nella tarda mattinata si espose al mondo la scena del delitto. Come mai? Che idea ti sei fatto? A questa domanda non so rispondere. E’ chiaro che c’è una enorme discordanza con quanto affermano le ricostruzioni. La telefonata delle 12.13 fu assolutamente inutile in quanto Moro era li da oltre due ore ed evidentemente chi doveva saperlo ne era al corrente. Mi sono sempre detto che qualcosa non quadrava, ma non ho mai voluto approfondire, non me ne sono mai interessato. La decisione di scrivere il libro, forse, nasce anche dalla speranza che qualcuno riesca a dare una risposta a questi interrogativi. Io ho raccontato quella che è la mia testimonianza, che nessun magistrato e nessuna commissione d’inchiesta mi hanno mai chiesto. So che a 35 anni di distanza sarà difficile ma spero lo stesso che le mie parole possano servire a fare un po’ più di luce su una vicenda che, ancora oggi, rappresenta per me un forte shock. Con il quale non ho ancora imparato a convivere.


Aldo Moro, un giallo italiano
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Ma un paese ancora non sa come é morto Il povero Moro come può fidarsi di della politica?



Vitantonio Raso: "Ero in via Caetani, da Aldo Moro, un'ora prima della telefonata delle Br. C'era Francesco Cossiga"
Ansa  |  Pubblicato: 29/06/2013 14:31 CEST  |  Aggiornato: 29/06/2013 21:02 CEST


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L'ANSA Vito Antonio Raso proprio in via Caetani, a 35 anni di distanza. Ha da poco pubblicato un libro di memorie (“La bomba umana” ed. Seneca) nel quale ripercorre tutta la sua vita, a partire dall'infanzia trascorsa in un tranquillo paesino del salernitano per giungere alle sue missioni di artificiere durante le quali ha convissuto con il pericolo rischiando, più di una volta, la vita.

Dopo l’uscita del tuo libro hai rilasciato molte interviste. Ma quello che stai per aggiungere oggi è una novità importante ai fini della comprensione di cosa sia successo quella mattina in via Caetani…
E’ vero. Ma voglio precisare che con il mio racconto non intendo accusare nessuno e non mi spinge nessun desiderio di rivalsa o di protagonismo. Sono stato un servitore ]dello Stato per tanti anni e rifarei tutto ciò che ho fatto, con la stessa abnegazione e con lo stesso spirito di sacrificio. Intendo solo aggiungere alcuni particolari che, dopo aver studiato meglio la vicenda, ritengo possano essere utili.

Non ti sei mai documentato sul caso Moro? No. Ed è stata una mia precisa scelta. Non sono mai più ripassato nemmeno da via Caetani nonostante sia stato a Roma sino al 2008. Oggi ho accettato il vostro invito per l’importanza di ciò che voglio aggiungere. Ma posso assicurarvi che per me è una enorme sofferenza.


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Aldo Moro, la R4 in Via Caetani
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Vito, cominciamo da quei 55 giorni… Ero già intervenuto la mattina del 16 marzo in via Fani. Mi chiamarono perché qualche testimone aveva raccontato che gli assalitori prima di fuggire avevano gettato nelle macchine coinvolte nell’agguato degli oggetti. Si temeva che potessero essere ordigni. Da allora, il Ministro Cossiga, pretese che fosse richiesta la presenza di un artificiere in ogni occasione ci si fosse trovati di fronte a materiale proveniente dalle BR. Ed in effetti intervenni anche in più occasioni in via Licinio Calvo (dove furono rinvenute in tre momenti diverse le auto utilizzate dai brigatisti per la fuga, nda), in via Gradoli ed, infine, in via Caetani. Me ne occupai sempre io per il semplice motivo che in via Fani avevo lasciato le mie impronte…

Che ricordo ne porti dentro? Come accennavo prima, anche se sono passati tanti anni, quando torna questo periodo per me è sempre un trauma. E’ un rivivere lo choc ed il dispiacere di aver visto morire dei colleghi e di un’ulteriore morte che non credevo mai si fosse si sarebbe consumata.

Il 9 maggio mattina eri in ufficio quando… Da premettere che io lavoravo in borghese mentre quella mattina mi ero recato in ufficio in divisa perché alle 11 mi sarei dovuto recare a colloquio dal mio superiore nel COMMILITER, il Gen. Santovito, che aveva chiesto di parlarmi.

Il Gen. Santovito era, all’epoca, anche a capo del neocostituito SISMI. E di cosa avrebbe dovuto parlarti? Dato gli eventi che si susseguirono l’appuntamento fu annullato ed io non ho più saputo quale fosse l’argomento oggetto della sua richiesta di colloquio. Sta di fatto che io a quell’appuntamento non potetti andare.

Come si evolsero gli eventi? Ero in attesa di essere accompagnato in Piazza Ungheria (sede del COMMILITER) quando in ufficio si presentarono i “ragazzi” della volante 23 della Polizia, che conoscevo benissimo e che di solito mi passavano a prendere per portarmi sui luoghi ove era necessario il mio intervento di artificiere.

Quindi prima delle 11? Sicuramente.

Quanto prima? A distanza di anni è difficile ricordare un orario preciso, ma credo tra le 10.30 e le 10.45.

E ti portarono in via Caetani… Questo lo seppi solo al mio arrivo. Quando salii in macchina mi resi subito conto che la situazione era strana. In genere il capo equipaggio dell’auto che mi veniva a prelevare, mi dava le prime indicazioni sull’intervento che mi era richiesto. Insomma le classiche informazioni che a me servivano per iniziare a prepararmi. Quella mattina, però, non fu così. Nessuno apriva bocca e allora iniziai a fare domande: “Dove andiamo? Di che tipo di segnalazione si tratta?”. Ma le risposte erano vaghe tanto da farmi irritare e quasi prendermela con quei ragazzi che poi non c’entravano nulla. “Andiamo in centro… Ci hanno detto di portarti li…”

Quanto tempo impiegaste per arrivare a destinazione? Non molto. Da Piazza San Giovanni in Laterano saranno 5-6 Km, non di più. Considerando che in genere procedevamo ad andatura elevata (e questo mi ha comportato anche 4 incidenti durante il servizio) potremmo averci impiegato un quarto d’ora venti minuti. Arrivammo su via delle Botteghe Oscure e ci fermammo all’imbocco di via Caetani. La situazione era tranquilla: non c’erano transennamenti o un blocco del traffico che facessero pensare ad un pericolo bomba. Il capo equipaggio mi fece scendere e mi indicò di avviarmi nella stradina dove mi stava aspettando un funzionario di Polizia che mi avrebbe dato le indicazioni del caso.

Ascolta: la telefonata delle Br al prof. Tritto

Chi era? Mi si fece incontro un uomo che si presentò con un “Salve, sono il Commissario Federico Vito. Vito è il cognome…”. Al che a me venne spontaneo ricambiare la battuta con “Piacere. Vito Raso. Vito è il nome”

Quindi il commissario Federico Vito era già in via Caetani nei pressi della R4. Da quanto tempo era li? Questo non lo so, non gliel’ho chiesto. Di sicuro prima di me, da un bel po’ visto che il capo pattuglia della volante 23 ne era al corrente.

C’era qualcun altro assieme a lui? Lui era solo, di questo sono sicuro. E la strada era deserta, non c’era gente attorno alla Renault.

Attorno alle 11.15, quindi, incontrasti il Commissario Vito? Cosa ti disse? Anche lui fu molto vago. Mi disse che c’era da controllare la R4 perché era stata ricevuta una telefonata anonima e si riteneva che dentro potesse esserci una bomba. Al che io mi misi subito ad analizzare dall’esterno la vettura, facendo un giro di ispezione attorno all’auto e scrutando anche attraverso i finestrini. Nella parte anteriore notai subito qualcosa che rendeva pericolosa l’auto: oltre a della sabbia nera, dei bossoli esplosi erano posti sul tappetino anteriore sia dal lato guidatore che passeggero. Questa cosa mi allarmò e quindi usai molta accortezza nell’avvicinarmi. Dato che era un’auto che conoscevo molto bene iniziai a studiare una strategia per riuscire ad entrarvi con il minimo rischio. Mentre ero li che, sempre sotto il controllo del funzionario di Polizia, giravo attorno alla macchina si avvicinò una ragazza vestita in un modo che definirei “alternativo” che mi chiese a bruciapelo: “E’ vero che in quella macchina c’è il cadavere di Aldo Moro?”. Cercai di mantenere la calma per evitare di mandarla a quel paese anche perché, conoscendo bene il bagagliaio e sapendo che Moro era di statura non certo piccola, non avrei mai pensato che sarebbe potuto entrare in quel piccolo spazio. Ma tant’è.

Una ragazza…Saresti in grado di riconoscerla? Ritengo di si. Era alta, magra, capelli scuri. Ricordo che comparve all’improvviso in strada e pochi secondi prima avevo udito il rumore di un portone che sbatteva. Come se fosse uscita da un palazzo all’inizio di via Caetani (lato Botteghe Oscure nda).

L’Unità, un paio di giorni dopo il 9 maggio, parlò di un testimone che aveva visto, verso le 8 del mattino, parcheggiare la R4 da un uomo ed una donna. L’uomo basso e tarchiato, la donna magra e slanciata. Potrebbe trattarsi della stessa ragazza? E chi può dirlo questo…

Quindi la ragazza si allontanò e tu iniziasti ad entrare nella macchina Non subito. Mentre ero li che guardavo l’auto dubbioso, vidi avvicinarsi un gruppetto di persone che da via delle Botteghe Oscure si dirigevano verso l’auto. Li riconobbi subito ed era evidente fossero interessati anche loro alla Renault.

Di chi si trattava? Riconobbi il capo della Digos romana Domenico Spinella, il comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri Colonnello Cornacchia, ed il Ministro Cossiga.

Mi rendo conto che è passato molto tempo, ma sarebbe importante collocare questo incontro temporalmente… Non era passato molto tempo da quando ero arrivato sul luogo, una decina di minuti.

Quindi erano passate da poco le 11.30 Si, più o meno. E ricordo due particolari che ho ancora impressi nella mente. Il Colonnello Cornacchia mi rimproverò con un “Lei che è un militare, non si vergogna ad andare in giro così?” alludendo ai miei capelli che non erano proprio cortissimi. Avrei voluto rispondergli che venivo da due mesi in cui avevo dormito poco, fatto gli straordinari e rischiato la vita ogni giorno, ma lasciai stare. Il Ministro Cossiga, invece, mi chiese a bruciapelo: “Raso, che ne pensa di questa macchina?” Io lo guardai e con aria preoccupata risposi: “Ministro, si tratta di un’auto molto pericolosa. Ho notato al suo interno dei bossoli. E’ necessario lavorarci con molta attenzione ma alla svelta.” “Bene – mi rispose – Mi tenga informato.”. E nel dire questo si riallontanò assieme alle persone con le quali era arrivato dando ordine di far transennare la via da entrambe le direzioni per non far avvicinare nessuno, come da procedura.

Un momento Vito. Stai dicendo che quella mattina tu hai visto il Ministro Cossiga in via Caetani molto prima delle immagini ufficiali che sono collocate ben oltre le 13.30 e che mostrano i vari politici accorsi dopo la notizia data dalle agenzie quando, tra l’altro, la strada era già affollata e transennata? Assolutamente si. Io vidi il Ministro Cossiga due volte. Poco dopo il mio arrivo in via Caetani e poi dopo un’ora e mezza due, quando terminai il mio lavoro di ispezione dentro la macchina.

Cossiga va via assieme agli altri personaggi che lo accompagnavano e tu inizi il tuo lavoro… Per prima cosa mi pongo il problema di come entrare in auto. Con molta attenzione forzo il finestrino anteriore sinistro e sblocco la serratura. Inizio l’ispezione dell’auto che, per fortuna, conoscevo molto bene in quanto mio padre possedeva proprio una R4 e con essa feci le prime esperienze di guida. Sempre muovendomi con molta cautela, controllai i tappetini anteriori, il cruscotto, frugai sotto i sedili alla ricerca di qualche elemento che mi desse conferma della presenza di un ordigno a bordo. L’operazione durò molto tempo in quanto ogni movimento era studiato ed effettuato con la massima delicatezza. Dopo aver terminato di controllare la parte anteriore della macchina, sempre dall’interno, mi spostai sul sedile posteriore e, dopo una breve ispezione, la mia attenzione fu catturata dal vano bagagli che, nella R4, è un tutt’uno con l’abitacolo.

Cosa notasti? Mi resi conto che c’era una coperta che copriva qualcosa, e lì la mia preoccupazione salì. Essendo sconsigliato spostare la coperta perché poteva essere collegata ad un ordigno a strappo, provai a metterci una mano sotto. Toccai qualcosa, una “peluria” che in un primo momento attribuii al pelo di un cane. Non capivo, ero disorientato. Poi notai che, appoggiato sulla coperta, c’era un borsello e lo presi. Non fidandomi troppo, con un taglierino troncai la cinghia che lo teneva chiuso e, oltre ad un orologio ed una catenina, trovai un assegno di 27.000 lire dell’allora Banco di S. Spirito intestato ad Aldo Moro. Fu in quel momento che capii che sotto quella coperta c’era il Presidente della DC.

Pensasti allora che la ragazza aveva ragione? No, non subito. Sia perché ero convinto che le Brigate Rosse avrebbero rilasciato il loro prigioniero vivo sia perché non lo riconobbi subito. Aveva un volto più magro di quello che ero abituato a vedere in TV, quella barba piuttosto folta, la posizione rannicchiata, quasi fetale. Dopo qualche secondo notai l’inconfondibile segno che identificava Moro e cioè la ciocca di capelli bianca, la sua caratteristica “frezza”. Era immobile ed il mio primo pensiero fu che lo avevano narcotizzato. Poi notai tre cose: molta sabbia nera, delle ampie macchie di sangue fresco sul petto in corrispondenza di fori di arma da fuoco e un fazzoletto di carta sotto al bavero della giacca posto come a voler tamponare le ferite. Fu la vista di quel sangue a darmi la certezza che in quell’auto le Brigate Rosse ci avevano riconsegnato il cadavere di Aldo Moro.

Che ora si era fatta? Non so collocare i singoli momenti nel tempo. In auto ero stato un’ora, un’ora e mezza. Dopo aver fatto la scoperta, mi appoggiai al sedile posteriore e rimasi qualche minuto ad osservare il volto di Moro, da solo con i miei pensieri. Fu anche un modo per scaricare la tensione che si era accumulata. E fu allora che notai un particolare.

Quale? Come dicevo prima, il 16 marzo ero intervenuto in via Fani. Ero arrivato non troppo tempo dopo la conclusione dell’agguato (mezz’ora massimo tre quarti d’ora) e i cadaveri dei poveri agenti erano ancora scoperti. Mentre mi occupavo del presunto ordigno che fu trovato ai piedi dell’autista di Moro, Appuntato Ricci, mi sporcai del suo sangue che era ancora fresco e che colava dalle sue ferite. Ebbene, il sangue che ebbi modo di vedere sul petto di Moro, era dello stesso colore e fluidità di quello visto in via Fani.

Come se fosse stato ammazzato da non più di un’ora, insomma… Si, ebbi proprio quell’impressione.

A chi comunicasti la notizia? Aprii lo sportello posteriore destro ed uscii dalla macchina. Il gruppetto di personaggi assieme a Cossiga era in fondo alla strada e io gli feci cenno di avvicinarsi. Quando furono abbastanza vicini, parlando a voce bassa per non farmi ascoltare da orecchie indiscrete dissi: “Ministro, dentro quell’auto c’è il cadavere di Aldo Moro”.

Cossiga e gli altri che reazione ebbero? Assolutamente nessuna. Restarono impassibili. Nessun segno di sgomento o stupore, nè lui e neppure gli altri funzionari che gli erano accanto. Come se già sapessero.

Come se già sapessero o come se fossero stupiti, increduli, della notizia? Non avevano l’aria di essere stupiti. Ho avuto la netta sensazione che per loro non fosse una novità.

Dopo avergli dato la notizia, Cossiga ti chiese altro? Mi fu chiesto di controllare tutte le auto parcheggiate li vicino prima di aprire il portellone posteriore. Ma la mia risposta fu secca: “Non se ne parla nemmeno, Ministro…” Ero stremato, sia per lo stress di quella mattina sia per la fatica delle settimane precedenti. Chiesi rinforzi. E fu così che furono richiamati altri due colleghi che stavano disinnescando un ordigno a Cassino per darmi una mano. Finchè non giunsero anche loro, la gente fu tenuta a distanza dalla macchina e io tirai un po’ il fiato.

Casertano e Circhetta, come si legge nei verbali… Si. Casertano si occupò delle altre auto in sosta mentre Circhetta mi aiutò ad aprire il portellone. Infilando una lastra nella fessura del portellone, mi ero infatti accorto che era chiuso a chiave. Utilizzando una grossa tronchese (una specie di maxi-apriscatole) iniziai a tagliare la lamiera della R4 attorno alla serratura.

Questo è anche documentato dalle immagini. Infatti. Dopo alcuni minuti, assieme al collega riuscimmo a procurarci un varco nella lamiera e, dopo aver controllato che nei pressi della serratura non vi fossero fili elettrici che facessero pensare ad un congegno di innesco, aprimmo il portellone.

E’ il momento in cui la storia si svela in tutta la sua drammaticità. Molti erano li perché si era sparsa voce di un’auto-bomba, altre voci parlavano di Moro, ma ciascuno, in cuor suo, nutriva ancora un lume di speranza. Poco dopo l’apertura si avvicinò un prete che poi seppi essere Don Damiani, prete personale di Moro. Mi chiese se poteva benedire la salma e, naturalmente, acconsentii. Essendo un credente, anche io mi raccolsi in preghiera.

C’è un verbale del Commissario Vito che indica il tuo intervento alle 12.30, un altro verbale dei periti nel quale siete citati anche voi artificieri. Ma non ho trovato nessuna relazione di servizio a tuo nome. Ciascuno di noi al rientro da un intervento scriveva un resoconto dei fatti e lo consegnava al capoufficio. Quel pomeriggio, al termine dell’intervento in via Caetani, rientrai in ufficio e scrissi il mio resoconto. Nel consegnarlo il mio capoufficio ebbe una reazione insolita. “Ma che cavolo hai scritto?” alludendo al mio italiano o forse alla forma complessiva del mio scritto. Forse a causa della stanchezza non ero stato molto chiaro, ma non mi era mai successo che un “rapporto di servizio” mi venisse strappato in faccia.

Quindi del tuo intervento di quella mattina non esiste traccia? Il Maresciallo Circhetta era accanto a me e si propose per farne uno cumulativo dell’intervento di tutti e tre. E così fu fatto.

E cosa c’era scritto nel rapporto? Si parlava dei due momenti distinti di arrivo sul luogo? Questo non lo so. Non l’ho mai letto. A distanza di 35 anni hai deciso di scrivere un libro che hai intitolato “La bomba umana”. Anche se nel testo parli solo marginalmente della mattina del 9 maggio, immagino che fossi consapevole che qualcuno avrebbe potuto chiederti degli orari… Ho deciso di scrivere un libro di memorie anche perché negli anni ho ascoltato di tutto. Persone che non ne sapevano nulla (non avendo vissuto in prima persona la vicenda) ma che sentivano il bisogno di parlare, dicendo un sacco di inesattezze. Ho voluto raccontare la mia storia consapevole del fatto che, in questo mio racconto, ci sia un ordigno a tempo che prima o poi esploderà. E’ un titolo, in qualche misura, autobiografico…

Questa tua storia rappresenta la prova fattuale che alcune ipotesi sono fondate. Che quella mattina lo Stato seppe molto presto (con grande anticipo sugli orari ufficiali) che Moro era stato ucciso e che il suo cadavere era in via Caetani, che qualcuno si occupò di controllare che la notizia non venisse divulgata e che solo nella tarda mattinata si espose al mondo la scena del delitto. Come mai? Che idea ti sei fatto? A questa domanda non so rispondere. E’ chiaro che c’è una enorme discordanza con quanto affermano le ricostruzioni. La telefonata delle 12.13 fu assolutamente inutile in quanto Moro era li da oltre due ore ed evidentemente chi doveva saperlo ne era al corrente. Mi sono sempre detto che qualcosa non quadrava, ma non ho mai voluto approfondire, non me ne sono mai interessato. La decisione di scrivere il libro, forse, nasce anche dalla speranza che qualcuno riesca a dare una risposta a questi interrogativi. Io ho raccontato quella che è la mia testimonianza, che nessun magistrato e nessuna commissione d’inchiesta mi hanno mai chiesto. So che a 35 anni di distanza sarà difficile ma spero lo stesso che le mie parole possano servire a fare un po’ più di luce su una vicenda che, ancora oggi, rappresenta per me un forte shock. Con il quale non ho ancora imparato a convivere.


Aldo Moro, un giallo italiano
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Ma un paese ancora non sa come é morto Il povero Moro come può fidarsi di della politica?



Vitantonio Raso: "Ero in via Caetani, da Aldo Moro, un'ora prima della telefonata delle Br. C'era Francesco Cossiga"
Ansa  |  Pubblicato: 29/06/2013 14:31 CEST  |  Aggiornato: 29/06/2013 21:02 CEST


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L'ANSA Vito Antonio Raso proprio in via Caetani, a 35 anni di distanza. Ha da poco pubblicato un libro di memorie (“La bomba umana” ed. Seneca) nel quale ripercorre tutta la sua vita, a partire dall'infanzia trascorsa in un tranquillo paesino del salernitano per giungere alle sue missioni di artificiere durante le quali ha convissuto con il pericolo rischiando, più di una volta, la vita.

Dopo l’uscita del tuo libro hai rilasciato molte interviste. Ma quello che stai per aggiungere oggi è una novità importante ai fini della comprensione di cosa sia successo quella mattina in via Caetani…
E’ vero. Ma voglio precisare che con il mio racconto non intendo accusare nessuno e non mi spinge nessun desiderio di rivalsa o di protagonismo. Sono stato un servitore ]dello Stato per tanti anni e rifarei tutto ciò che ho fatto, con la stessa abnegazione e con lo stesso spirito di sacrificio. Intendo solo aggiungere alcuni particolari che, dopo aver studiato meglio la vicenda, ritengo possano essere utili.

Non ti sei mai documentato sul caso Moro? No. Ed è stata una mia precisa scelta. Non sono mai più ripassato nemmeno da via Caetani nonostante sia stato a Roma sino al 2008. Oggi ho accettato il vostro invito per l’importanza di ciò che voglio aggiungere. Ma posso assicurarvi che per me è una enorme sofferenza.


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Aldo Moro, la R4 in Via Caetani
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Vito, cominciamo da quei 55 giorni… Ero già intervenuto la mattina del 16 marzo in via Fani. Mi chiamarono perché qualche testimone aveva raccontato che gli assalitori prima di fuggire avevano gettato nelle macchine coinvolte nell’agguato degli oggetti. Si temeva che potessero essere ordigni. Da allora, il Ministro Cossiga, pretese che fosse richiesta la presenza di un artificiere in ogni occasione ci si fosse trovati di fronte a materiale proveniente dalle BR. Ed in effetti intervenni anche in più occasioni in via Licinio Calvo (dove furono rinvenute in tre momenti diverse le auto utilizzate dai brigatisti per la fuga, nda), in via Gradoli ed, infine, in via Caetani. Me ne occupai sempre io per il semplice motivo che in via Fani avevo lasciato le mie impronte…

Che ricordo ne porti dentro? Come accennavo prima, anche se sono passati tanti anni, quando torna questo periodo per me è sempre un trauma. E’ un rivivere lo choc ed il dispiacere di aver visto morire dei colleghi e di un’ulteriore morte che non credevo mai si fosse si sarebbe consumata.

Il 9 maggio mattina eri in ufficio quando… Da premettere che io lavoravo in borghese mentre quella mattina mi ero recato in ufficio in divisa perché alle 11 mi sarei dovuto recare a colloquio dal mio superiore nel COMMILITER, il Gen. Santovito, che aveva chiesto di parlarmi.

Il Gen. Santovito era, all’epoca, anche a capo del neocostituito SISMI. E di cosa avrebbe dovuto parlarti? Dato gli eventi che si susseguirono l’appuntamento fu annullato ed io non ho più saputo quale fosse l’argomento oggetto della sua richiesta di colloquio. Sta di fatto che io a quell’appuntamento non potetti andare.

Come si evolsero gli eventi? Ero in attesa di essere accompagnato in Piazza Ungheria (sede del COMMILITER) quando in ufficio si presentarono i “ragazzi” della volante 23 della Polizia, che conoscevo benissimo e che di solito mi passavano a prendere per portarmi sui luoghi ove era necessario il mio intervento di artificiere.

Quindi prima delle 11? Sicuramente.

Quanto prima? A distanza di anni è difficile ricordare un orario preciso, ma credo tra le 10.30 e le 10.45.

E ti portarono in via Caetani… Questo lo seppi solo al mio arrivo. Quando salii in macchina mi resi subito conto che la situazione era strana. In genere il capo equipaggio dell’auto che mi veniva a prelevare, mi dava le prime indicazioni sull’intervento che mi era richiesto. Insomma le classiche informazioni che a me servivano per iniziare a prepararmi. Quella mattina, però, non fu così. Nessuno apriva bocca e allora iniziai a fare domande: “Dove andiamo? Di che tipo di segnalazione si tratta?”. Ma le risposte erano vaghe tanto da farmi irritare e quasi prendermela con quei ragazzi che poi non c’entravano nulla. “Andiamo in centro… Ci hanno detto di portarti li…”

Quanto tempo impiegaste per arrivare a destinazione? Non molto. Da Piazza San Giovanni in Laterano saranno 5-6 Km, non di più. Considerando che in genere procedevamo ad andatura elevata (e questo mi ha comportato anche 4 incidenti durante il servizio) potremmo averci impiegato un quarto d’ora venti minuti. Arrivammo su via delle Botteghe Oscure e ci fermammo all’imbocco di via Caetani. La situazione era tranquilla: non c’erano transennamenti o un blocco del traffico che facessero pensare ad un pericolo bomba. Il capo equipaggio mi fece scendere e mi indicò di avviarmi nella stradina dove mi stava aspettando un funzionario di Polizia che mi avrebbe dato le indicazioni del caso.

Ascolta: la telefonata delle Br al prof. Tritto

Chi era? Mi si fece incontro un uomo che si presentò con un “Salve, sono il Commissario Federico Vito. Vito è il cognome…”. Al che a me venne spontaneo ricambiare la battuta con “Piacere. Vito Raso. Vito è il nome”

Quindi il commissario Federico Vito era già in via Caetani nei pressi della R4. Da quanto tempo era li? Questo non lo so, non gliel’ho chiesto. Di sicuro prima di me, da un bel po’ visto che il capo pattuglia della volante 23 ne era al corrente.

C’era qualcun altro assieme a lui? Lui era solo, di questo sono sicuro. E la strada era deserta, non c’era gente attorno alla Renault.

Attorno alle 11.15, quindi, incontrasti il Commissario Vito? Cosa ti disse? Anche lui fu molto vago. Mi disse che c’era da controllare la R4 perché era stata ricevuta una telefonata anonima e si riteneva che dentro potesse esserci una bomba. Al che io mi misi subito ad analizzare dall’esterno la vettura, facendo un giro di ispezione attorno all’auto e scrutando anche attraverso i finestrini. Nella parte anteriore notai subito qualcosa che rendeva pericolosa l’auto: oltre a della sabbia nera, dei bossoli esplosi erano posti sul tappetino anteriore sia dal lato guidatore che passeggero. Questa cosa mi allarmò e quindi usai molta accortezza nell’avvicinarmi. Dato che era un’auto che conoscevo molto bene iniziai a studiare una strategia per riuscire ad entrarvi con il minimo rischio. Mentre ero li che, sempre sotto il controllo del funzionario di Polizia, giravo attorno alla macchina si avvicinò una ragazza vestita in un modo che definirei “alternativo” che mi chiese a bruciapelo: “E’ vero che in quella macchina c’è il cadavere di Aldo Moro?”. Cercai di mantenere la calma per evitare di mandarla a quel paese anche perché, conoscendo bene il bagagliaio e sapendo che Moro era di statura non certo piccola, non avrei mai pensato che sarebbe potuto entrare in quel piccolo spazio. Ma tant’è.

Una ragazza…Saresti in grado di riconoscerla? Ritengo di si. Era alta, magra, capelli scuri. Ricordo che comparve all’improvviso in strada e pochi secondi prima avevo udito il rumore di un portone che sbatteva. Come se fosse uscita da un palazzo all’inizio di via Caetani (lato Botteghe Oscure nda).

L’Unità, un paio di giorni dopo il 9 maggio, parlò di un testimone che aveva visto, verso le 8 del mattino, parcheggiare la R4 da un uomo ed una donna. L’uomo basso e tarchiato, la donna magra e slanciata. Potrebbe trattarsi della stessa ragazza? E chi può dirlo questo…

Quindi la ragazza si allontanò e tu iniziasti ad entrare nella macchina Non subito. Mentre ero li che guardavo l’auto dubbioso, vidi avvicinarsi un gruppetto di persone che da via delle Botteghe Oscure si dirigevano verso l’auto. Li riconobbi subito ed era evidente fossero interessati anche loro alla Renault.

Di chi si trattava? Riconobbi il capo della Digos romana Domenico Spinella, il comandante del nucleo investigativo dei Carabinieri Colonnello Cornacchia, ed il Ministro Cossiga.

Mi rendo conto che è passato molto tempo, ma sarebbe importante collocare questo incontro temporalmente… Non era passato molto tempo da quando ero arrivato sul luogo, una decina di minuti.

Quindi erano passate da poco le 11.30 Si, più o meno. E ricordo due particolari che ho ancora impressi nella mente. Il Colonnello Cornacchia mi rimproverò con un “Lei che è un militare, non si vergogna ad andare in giro così?” alludendo ai miei capelli che non erano proprio cortissimi. Avrei voluto rispondergli che venivo da due mesi in cui avevo dormito poco, fatto gli straordinari e rischiato la vita ogni giorno, ma lasciai stare. Il Ministro Cossiga, invece, mi chiese a bruciapelo: “Raso, che ne pensa di questa macchina?” Io lo guardai e con aria preoccupata risposi: “Ministro, si tratta di un’auto molto pericolosa. Ho notato al suo interno dei bossoli. E’ necessario lavorarci con molta attenzione ma alla svelta.” “Bene – mi rispose – Mi tenga informato.”. E nel dire questo si riallontanò assieme alle persone con le quali era arrivato dando ordine di far transennare la via da entrambe le direzioni per non far avvicinare nessuno, come da procedura.

Un momento Vito. Stai dicendo che quella mattina tu hai visto il Ministro Cossiga in via Caetani molto prima delle immagini ufficiali che sono collocate ben oltre le 13.30 e che mostrano i vari politici accorsi dopo la notizia data dalle agenzie quando, tra l’altro, la strada era già affollata e transennata? Assolutamente si. Io vidi il Ministro Cossiga due volte. Poco dopo il mio arrivo in via Caetani e poi dopo un’ora e mezza due, quando terminai il mio lavoro di ispezione dentro la macchina.

Cossiga va via assieme agli altri personaggi che lo accompagnavano e tu inizi il tuo lavoro… Per prima cosa mi pongo il problema di come entrare in auto. Con molta attenzione forzo il finestrino anteriore sinistro e sblocco la serratura. Inizio l’ispezione dell’auto che, per fortuna, conoscevo molto bene in quanto mio padre possedeva proprio una R4 e con essa feci le prime esperienze di guida. Sempre muovendomi con molta cautela, controllai i tappetini anteriori, il cruscotto, frugai sotto i sedili alla ricerca di qualche elemento che mi desse conferma della presenza di un ordigno a bordo. L’operazione durò molto tempo in quanto ogni movimento era studiato ed effettuato con la massima delicatezza. Dopo aver terminato di controllare la parte anteriore della macchina, sempre dall’interno, mi spostai sul sedile posteriore e, dopo una breve ispezione, la mia attenzione fu catturata dal vano bagagli che, nella R4, è un tutt’uno con l’abitacolo.

Cosa notasti? Mi resi conto che c’era una coperta che copriva qualcosa, e lì la mia preoccupazione salì. Essendo sconsigliato spostare la coperta perché poteva essere collegata ad un ordigno a strappo, provai a metterci una mano sotto. Toccai qualcosa, una “peluria” che in un primo momento attribuii al pelo di un cane. Non capivo, ero disorientato. Poi notai che, appoggiato sulla coperta, c’era un borsello e lo presi. Non fidandomi troppo, con un taglierino troncai la cinghia che lo teneva chiuso e, oltre ad un orologio ed una catenina, trovai un assegno di 27.000 lire dell’allora Banco di S. Spirito intestato ad Aldo Moro. Fu in quel momento che capii che sotto quella coperta c’era il Presidente della DC.

Pensasti allora che la ragazza aveva ragione? No, non subito. Sia perché ero convinto che le Brigate Rosse avrebbero rilasciato il loro prigioniero vivo sia perché non lo riconobbi subito. Aveva un volto più magro di quello che ero abituato a vedere in TV, quella barba piuttosto folta, la posizione rannicchiata, quasi fetale. Dopo qualche secondo notai l’inconfondibile segno che identificava Moro e cioè la ciocca di capelli bianca, la sua caratteristica “frezza”. Era immobile ed il mio primo pensiero fu che lo avevano narcotizzato. Poi notai tre cose: molta sabbia nera, delle ampie macchie di sangue fresco sul petto in corrispondenza di fori di arma da fuoco e un fazzoletto di carta sotto al bavero della giacca posto come a voler tamponare le ferite. Fu la vista di quel sangue a darmi la certezza che in quell’auto le Brigate Rosse ci avevano riconsegnato il cadavere di Aldo Moro.

Che ora si era fatta? Non so collocare i singoli momenti nel tempo. In auto ero stato un’ora, un’ora e mezza. Dopo aver fatto la scoperta, mi appoggiai al sedile posteriore e rimasi qualche minuto ad osservare il volto di Moro, da solo con i miei pensieri. Fu anche un modo per scaricare la tensione che si era accumulata. E fu allora che notai un particolare.

Quale? Come dicevo prima, il 16 marzo ero intervenuto in via Fani. Ero arrivato non troppo tempo dopo la conclusione dell’agguato (mezz’ora massimo tre quarti d’ora) e i cadaveri dei poveri agenti erano ancora scoperti. Mentre mi occupavo del presunto ordigno che fu trovato ai piedi dell’autista di Moro, Appuntato Ricci, mi sporcai del suo sangue che era ancora fresco e che colava dalle sue ferite. Ebbene, il sangue che ebbi modo di vedere sul petto di Moro, era dello stesso colore e fluidità di quello visto in via Fani.

Come se fosse stato ammazzato da non più di un’ora, insomma… Si, ebbi proprio quell’impressione.

A chi comunicasti la notizia? Aprii lo sportello posteriore destro ed uscii dalla macchina. Il gruppetto di personaggi assieme a Cossiga era in fondo alla strada e io gli feci cenno di avvicinarsi. Quando furono abbastanza vicini, parlando a voce bassa per non farmi ascoltare da orecchie indiscrete dissi: “Ministro, dentro quell’auto c’è il cadavere di Aldo Moro”.

Cossiga e gli altri che reazione ebbero? Assolutamente nessuna. Restarono impassibili. Nessun segno di sgomento o stupore, nè lui e neppure gli altri funzionari che gli erano accanto. Come se già sapessero.

Come se già sapessero o come se fossero stupiti, increduli, della notizia? Non avevano l’aria di essere stupiti. Ho avuto la netta sensazione che per loro non fosse una novità.

Dopo avergli dato la notizia, Cossiga ti chiese altro? Mi fu chiesto di controllare tutte le auto parcheggiate li vicino prima di aprire il portellone posteriore. Ma la mia risposta fu secca: “Non se ne parla nemmeno, Ministro…” Ero stremato, sia per lo stress di quella mattina sia per la fatica delle settimane precedenti. Chiesi rinforzi. E fu così che furono richiamati altri due colleghi che stavano disinnescando un ordigno a Cassino per darmi una mano. Finchè non giunsero anche loro, la gente fu tenuta a distanza dalla macchina e io tirai un po’ il fiato.

Casertano e Circhetta, come si legge nei verbali… Si. Casertano si occupò delle altre auto in sosta mentre Circhetta mi aiutò ad aprire il portellone. Infilando una lastra nella fessura del portellone, mi ero infatti accorto che era chiuso a chiave. Utilizzando una grossa tronchese (una specie di maxi-apriscatole) iniziai a tagliare la lamiera della R4 attorno alla serratura.

Questo è anche documentato dalle immagini. Infatti. Dopo alcuni minuti, assieme al collega riuscimmo a procurarci un varco nella lamiera e, dopo aver controllato che nei pressi della serratura non vi fossero fili elettrici che facessero pensare ad un congegno di innesco, aprimmo il portellone.

E’ il momento in cui la storia si svela in tutta la sua drammaticità. Molti erano li perché si era sparsa voce di un’auto-bomba, altre voci parlavano di Moro, ma ciascuno, in cuor suo, nutriva ancora un lume di speranza. Poco dopo l’apertura si avvicinò un prete che poi seppi essere Don Damiani, prete personale di Moro. Mi chiese se poteva benedire la salma e, naturalmente, acconsentii. Essendo un credente, anche io mi raccolsi in preghiera.

C’è un verbale del Commissario Vito che indica il tuo intervento alle 12.30, un altro verbale dei periti nel quale siete citati anche voi artificieri. Ma non ho trovato nessuna relazione di servizio a tuo nome. Ciascuno di noi al rientro da un intervento scriveva un resoconto dei fatti e lo consegnava al capoufficio. Quel pomeriggio, al termine dell’intervento in via Caetani, rientrai in ufficio e scrissi il mio resoconto. Nel consegnarlo il mio capoufficio ebbe una reazione insolita. “Ma che cavolo hai scritto?” alludendo al mio italiano o forse alla forma complessiva del mio scritto. Forse a causa della stanchezza non ero stato molto chiaro, ma non mi era mai successo che un “rapporto di servizio” mi venisse strappato in faccia.

Quindi del tuo intervento di quella mattina non esiste traccia? Il Maresciallo Circhetta era accanto a me e si propose per farne uno cumulativo dell’intervento di tutti e tre. E così fu fatto.

E cosa c’era scritto nel rapporto? Si parlava dei due momenti distinti di arrivo sul luogo? Questo non lo so. Non l’ho mai letto. A distanza di 35 anni hai deciso di scrivere un libro che hai intitolato “La bomba umana”. Anche se nel testo parli solo marginalmente della mattina del 9 maggio, immagino che fossi consapevole che qualcuno avrebbe potuto chiederti degli orari… Ho deciso di scrivere un libro di memorie anche perché negli anni ho ascoltato di tutto. Persone che non ne sapevano nulla (non avendo vissuto in prima persona la vicenda) ma che sentivano il bisogno di parlare, dicendo un sacco di inesattezze. Ho voluto raccontare la mia storia consapevole del fatto che, in questo mio racconto, ci sia un ordigno a tempo che prima o poi esploderà. E’ un titolo, in qualche misura, autobiografico…

Questa tua storia rappresenta la prova fattuale che alcune ipotesi sono fondate. Che quella mattina lo Stato seppe molto presto (con grande anticipo sugli orari ufficiali) che Moro era stato ucciso e che il suo cadavere era in via Caetani, che qualcuno si occupò di controllare che la notizia non venisse divulgata e che solo nella tarda mattinata si espose al mondo la scena del delitto. Come mai? Che idea ti sei fatto? A questa domanda non so rispondere. E’ chiaro che c’è una enorme discordanza con quanto affermano le ricostruzioni. La telefonata delle 12.13 fu assolutamente inutile in quanto Moro era li da oltre due ore ed evidentemente chi doveva saperlo ne era al corrente. Mi sono sempre detto che qualcosa non quadrava, ma non ho mai voluto approfondire, non me ne sono mai interessato. La decisione di scrivere il libro, forse, nasce anche dalla speranza che qualcuno riesca a dare una risposta a questi interrogativi. Io ho raccontato quella che è la mia testimonianza, che nessun magistrato e nessuna commissione d’inchiesta mi hanno mai chiesto. So che a 35 anni di distanza sarà difficile ma spero lo stesso che le mie parole possano servire a fare un po’ più di luce su una vicenda che, ancora oggi, rappresenta per me un forte shock. Con il quale non ho ancora imparato a convivere.


Aldo Moro, un giallo italiano
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Meno male che i dissidenti erano solo due. Tutto normale. Parola di Casaleggio.


Beppe Grillo è il problema del MoVimento 5 Stelle?
di Valentina Spotti  - 25/06/2013 - Emorragia di parlamentari, consiglieri regionali che accusano il Semplice Portavoce



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Dopo il “caso Gambaro” il MoVimento 5 Stelle non è più lo stesso. Paola De Pin e Adriano Zaccagnini hanno detto addio, Paola Pinna (che pure è stata salvata dall’epurazione) e Alessio Tacconi per il momento resistono, ma non nascondono il proprio disagio. E mentre continuano le polemiche per il nuovo diktat di Beppre Grillo che ha bacchettato Marcello De Vito circa l’opportunità di accettare la proposta di “apertura” dal sindaco di Roma Ignazio Marino, qualcuno se ne va sbattendo la porta anche dalle amministrazioni locali.

Adriano Zaccagnini
“CLIMA IRRESPIRABILE” - “Non mi sento più a mio agio, non riesco a lavorare serenamente. C’è un clima irrespirabile, non ho la forza di continuare a combattere da dentro una guerra intestina che non ha senso”. – così Adriano Zaccagnini, ieri pomeriggio, ha detto addio al M5S per passare al Gruppo Misto della Camera, lamentando “l’aziendalismo” su cui si fonda il movimento, dove “la strategia politica è calata dall’alto”, e che sembra l’espressione di un “berlusconismo 2.0″  che lascia insoddisfatto il deputato. E, qualche giorno prima, anche Paola De Pin ha detto addio, puntando il dito contro la “gogna mediatica” a cui è stata costretta la senatrice Gambaro: “Sono arrivata a un punto di esasperazione che mi ha fatto dire basta. Non accetto che si metta la gente così alla berlina”.
QUELLI CHE “È SOLO QUESTIONE DI TEMPO” - Ma Zaccagnini e De Pin potrebbero presto ricevere la compagnia di altri due prossimi profughi: questa mattina il Corriere della Sera ha fatto l’appello di coloro per cui “sarebbe solo questione di tempo”: tra questi Alessio Tacconi, che a quanto pare non ha digerito la faccenda della diaria e Paola Pinna, che è stata graziata dall’espulsione dopo la faccenda dell’intervista a Piazza Pulita ma che ormai sarebbe sul piede di partenza. E poi ci sono le critiche di Ivan Catalano che la spara in alto: “Basta dire Grillo e Casaleggio e diventiamo peggio di CL”.

LEGGI ANCHE: Adriano Zaccagnini e il MoVimento 5 Stelle: altri due fuori a breve?

DE VITO E “LE REGOLE DEL M5S” - Insomma, il MoVimento 5 Stelle perde pezzi e più di una voce mormora apertamente contro Beppe Grillo, specialmente dopo il “niet” circa la possibilità di accettare la proposta che Ignazio Marino ha fatto al MoVimento 5 Stelle di Roma: proporre un proprio nome a cui affidare un assessorato all’interno del Comune di Roma. Marcello De Vito, ex-candidato sindaco per il Campidoglio, ha avviato una consultazione online per selezionare il candidato ideale da sottoporre a Marino, ma prima ancora che la votazione si fosse conclusa il Semplice Portavoce tuona dal suo blog contro De Vito e lo invita a “ricordare le regole del M5S”, che non prevedono alleanze con altri partiti né votazioni che non vedano il coinvolgimento di tutta la base del MoVimento. In realtà, la “base” non l’ha presa bene: anche sul blog sono apparsi commenti di chi dice che “non possiamo essere sempre contro a priori” e anche aperte contestazioni: l’impressione è che il MoVimento stia semplicemente rifiutandosi di sporcarsi le mani e di lavorare su fatti concreti.

“CI VUOLE COME NUMERI E NON COME PERSONE” - E ad andarsene non sono solo i parlamentari: Daniele Berti, consigliere comunale di Legnano, decide di lasciare il MoVimento e il suo posto da consigliere non prima di aver accusato Grillo di essere “la brace” in un sistema dove i partito sono “la padella”. Berti, già noto per la sua veemenza fin dai tempi delle Quirinarie, non le manda a dire e promette di raccontare “le dinamiche di un’illusione scambiata per rivoluzione”, guidata da un “capo che vuole averci come numeri e non come persone”. E conclude: “No Beppe, ci prendi continuamente in giro perché sai che siamo un popolo di creduloni”. Che Adele Gambaro ci abbia davvero visto lungo? Beppe Grillo è diventato il problema del MoVimento 5 Stelle?

Anche Pippo Baudo dice la sua. Boh!

http://youtu.be/RFsqtgPiTLY

Ancora un'altra. Houston di problemi ve ne sono davvero tanti.

http://youtu.be/RFsqtgPiTLY

giovedì 27 giugno 2013

Un articolo da leggere. E sul quale riflettere a lungo.


Se Napoli la raccontasse chi ha praticato l’illegalità per anni? Se i vicoli e le periferie urbane prendessero voce grazie alla volontà di chi è al di fuori del professionismo anti mafia? Se il carcere e le sue difficili condizioni di vita venissero espresse tramite i ricordi di chi dietro quelle sbarre ci è stato per davvero?
Gaetano Di Vaio ha scelto proprio questa strada, quella di raccontare la sua vita prima tramite il cinema, divenendo in poco tempo prima produttore cinematografico, regista e punto di riferimento della scena indipendente italiana ed ora anche scrittore.
Ho avuto la fortuna di partecipare all’anteprima nazionale del suo libro, presentato per la prima volta a Trame 3, il festival dei libri sulle mafie che si svolge a Lamezia Terme in provincia di Catanzaro. Il libro, dal titolo “Non mi avrete mai” è in uscita il prossimo 9 luglio ed è un testo scritto a quattro mani grazie alla collaborazione diGuido Lombardi che ha seguito, quasi annullandosi ed entrando in piena empatia con Gaetano, la quotidianità di quello che è divenuto simbolo del riscatto a Napoli.
Gaetano non è uno scrittore classico, ha la quinta elementare, ma un è grande uomo, pieno di dignità e saggezza. Quella saggezza, anche se è strano definirla così, che ha imparato per strada, a Napoli, nei vicoli del centro storico e poi nella periferia dell’area nord, nella Napoli a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80 quando la camorra di Raffaele Cutolo era paragonabile ad un impero.
Il libro è una autobiografia con alcuni elementi romanzati. Scrivere questo libro, per Gaetano, era  un’ esigenza che si portava dentro già da quando era in carcere. Ma scrivere avendo solo la quinta elementare è difficile, così era solito appuntarsi piccoli pensieri, momenti di vita carceraria, ricordi che ora sono parte integrante del libro grazie al prezioso lavoro di Lombardi.
Gaetano è figlio del bronx, di un ghetto dimenticato che a Napoli si chiama Scampia, ovvero una delle più grandi piazze di spaccio di droga di tutta Europa. Figlio di una famiglia onesta, povera ma onesta che occupò una palazzina per vivere e dare un tetto a dieci figli, ma immediatamente sgomberati dalla polizia. Spedito in collegio a 7 anni, nel 1975, quando a Napoli quei luoghi erano dei non luoghi dove “invece di trovare la nutella abbiamo trovato solo violenza”. Scugnizzi figli di prostitute, di carcerati, di famiglie oneste ma che non avevano la possibilità di fare crescere i loro figli con serenità e quindi la scelta di mandarli in quelle strutture per sfuggire alla fame era quasi obbligata, ma lì troppo spesso imparavano i primi rudimenti della delinquenza.
Il primo obiettivo non era sopravvivere ma scappare da quegli istituti e così Gaetano scappa, vive per strada, inizia con i primi furti per mangiare. Il primo in assoluto, degli orecchini rubati a casa di un amico e regalati a sua sorella. Poi le rapine divennero serie con le pistole, i primi problemi con la giustizia, i primi approcci con la droga, la tossicodipendenza, lo spaccio. Fino al carcere, il carcere di Poggioreale a Napoli, un inferno legalizzato dalle istituzioni che si innalza in un dei tanti quartieri della Napoli che cresce intorno alla stazione centrale.
Quella che uscirà a luglio è, quindi, l’autobiografia di un figlio del bronx, la storia del riscatto di Gaetano che da carcerato diventa produttore cinematografico . Gaetano ha resistito, non si è mai affiliato alla camorra nonostante abbia praticato l’illegalità per anni, perché nonostante la sua vita non certo tranquilla, non voleva diventare schiavo di un sistema che ti avrebbe sicuramente ammazzato. Ma quella illegalità era ed è l’unica strada che ancora oggi tantissimi ragazzi sono costretti a seguire a Napoli, a Scampia così come nei quartieri Spagnoli o a Forcella. E quando nasci lì, vieni trascinato in un vortice di violenza da cui è difficile se non impossibile uscire, non avendo dei buoni maestri di vita. Gaetano Di Vaio definisce questo mondo la criminalità disorganizzata che ti fa entrare ed uscire da collegi, riformatori, carceri, fino ad entrare per sempre dentro una bara non potendo più uscire.
Il libro ha come perno centrale, appunto, Poggioreale, il carcere di Napoli definito come il più grande moltiplicatore di delinquenza che esiste sulla terra. L’esordio in letteratura di Di Vaio, con questa autobiografia, non gli impedisce di scavare nei più profondi ricordi della sua vita, come quelli della stanza zero del carcere dove è stato brutalmente picchiato più volte dai secondini solo perché era in crisi d’astinenza. Estratti di vita di una persona che ha cercato e ritrovato con testardaggine la propria dignità.
Il riscatto è arrivato dal cinema, dalla cultura, quella che è stata tagliata con precisione chirurgica dalle politiche liberiste degli ultimi venti anni da governi che preferivano il modello aziendale ed la repressione indiscriminata come unico strumento di lotta alla criminalità.
Se quella nella scrittura è la sua prima esperienza, è dal 2001 che in diverse modalità Gaetano fa parte del mondo del cinema italiano e con risultati davvero straordinari.
In quegli anni i primi approcci e le prime esperienze con Peppe Lanzetta, il suo primo film sulla cultura e la vita dei rom. Nel 2004 fonda l’associazione culturale “Figli del Bronx” che diventa poi Società di Produzione Cinematografica. Con i suoi lavori, da registra e da produttore, partecipa al 59° Festival Internazionale del Cinema di Locarno in Svizzera, collabora poi successivamente con Abel Ferrara arrivando addirittura a calpestare il red carpet della 66° mostra di Arte Cinematografica di Venezia. Tra i suoi migliori lavori, “Il loro Natale”, dove racconta la vita e le paure delle donne e mogli dei carcerati di Poggioreale; “La bas – educazione criminale” con sfondo Castel Volturno. In preparazione un altro lavoro, “Take Five” che segue le vicende di alcuni ragazzi dei vicoli di Napoli, tra cui il figlio di uno dei boss più importanti della zona, ora in carcere. Una produzione che si avvale anche della collaborazione di Rai Cinema.

"la livella" Principe Antonio De Curtis (in arte TOTO'). Per finire alla grande.

Rimango colpito dal fatto che una primavera possa nascere perchè cento persone difendono un parco di alberi.

http://www.corriereweb.net/sguardo-sul-medio-oriente/183-turchia-protesta-gezi-park-taksim-fine-sogno-turco-erdogan-variabili-incognite-nuova-turchia

Lui sa come arrivare alla quarta settimana. E' una vergogna accettare di vedere gente che soffre perchè non ha uno stipendio e dovere ascolatare Brunetta e Berlusconi


SCENARIO

Pdl, Silvio Berlusconi all'attacco del governo Letta

Blitz sulla giustiziaBagarre sull'Iva. L'ex premier mette un'ipoteca sulla maggioranza. Brunetta contro le coperture.

Cambia il passo Silvio Berlusconi. Passando al contrattacco.
La fiducia «incondizionata» al governo Letta promessa solo il 26 giugno a Giorgio Napolitano, lascia spazio a un appoggio condizionato.
CAV, FIDUCIA CONDIZIONATA.«Continueremo a sostenere il governo», ha chiarito il Cavaliere in un'intervista a La Discussionesettimanale diretto da Emilio Fede in uscita sabato, «se varerà i provvedimenti indicati nei nostri accordi: via l'Imu sulla prima casa, no all'aumento dell'Iva, tassazione zero sulle assunzioni dei giovani e dei disoccupati».
A 24 ore dall'incontro al Colle, tra i due maggiori partiti che sostengono il governo è tornata così a salire la tensione.
BRUNETTA ALL'ATTACCO. Due i fronti aperti nella maggioranza: lo scontro su Iva, Irpef, e sulle misure di copertura e il nodo della giustizia.
In mattinata a scaldare gli animi era stato il super falco Renato Brunetta che si è scagliato contro il ministro dell'Economia Fabrizio Saccomanni. «Serviva ben altro per far ripartire l'economia», ha tuonato il capogruppo Pdl alla Camera. «Lo strumento ce l'abbiamo già: i pagamenti della pubblica amministrazione». Brunetta ha bocciato senza appello pure le coperture, bollandole «assolutamente inadeguate». Anzi, di più, «una presa in giro, un raggiro».

Il blitz del Pdl sulla giustizia

 A scatenare le polemiche, il 27 giugno, è stata la decisione di via dell'Umiltà diforzare la mano sulla riforma della giustiziainserendola nel ddl sulle riforme costituzionali all'esame della commissione Affari costituzionali di palazzo Madama.
Dove è stato depositato un emendamento in cui si chiede agli esponenti della Bicamerale per le riforme di occuparsi anche della riforma degli organi giudiziari.
LA ROTTURA DEL PATTO. Poche righe che di fatto hanno rotto il patto siglato nella mozione parlamentare che ha dato il via al ddl del governo escludendo tra le materie in discussione ogni tipo di riforma della giustizia (e della magistratura).
LE CONSEGUENZE DEL RUBYGATE.Tempistica perfetta. La decisione dei berluscones, infatti, è arrivata all'indomani della condanna in primo grado per Silvio Berlusconi nell'ambito del processo Ruby.E ha reso le larghe intese di governo strettissime.
Dal canto loro i firmatari hanno smentito l'esistenza di una correlazione con i problemi giudiziari del Cavaliere sottolineando che ben prima della sentenza era emersa l'intenzione di modificare anche la parte della Costituzione che riguarda la giustizia.
IL PRESSING DI SCHIFANI. «Su questi emendamenti si vuole creare un falso problema», ha commentato Renato Schifani che, promettendo «la necessaria cautela» e nessuno «spirito di rivalsa», ha confermato però la necessità di intervenire sulla materia.
«Se si decide che cambiano i poteri del presidente della Repubblica», ha spiegato Anna Maria Bernini, «si deve intervenire su tutti i pesi e contrappesi. E quindi, per esempio, modificare il potere di nomina dei giudici costituzionali da parte del capo dello Stato. Capisco tutte le interpretazioni, ma il nostro non è un blitz».

Il Pd: «Emendamento inaccettabile»

Immediata la reazione del Partito democratico che non ha esitato a bollare come «inaccettabile» l'emendamento presentato dagli esponenti di via dell'Umiltà. L'intenzione dei democratici è quella di alzare un muro, forti anche dei numeri dalla loro parte. Già perché il Pdl da solo non ha la forza per poter approvare l'emendamento.
ESCLUSA L'IPOTESI TRATTATIVA.L'ipotesi di aprire una trattativa non viene presa in considerazione e, a sgombrare il campo dai dubbi, il capogruppo Pd Luigi Zanda ha ricordato che il ddl che la commissione Affari costituzionali del Senato sta esaminando è stato approvato dal Consiglio dei ministri, quindi alla presenza del segretario del Pdl Angelino Alfano.
Chiamato in causa, sulla materia, Silvio Berlusconi ha preferito restare in silenzio. Senza però perdere l'occasione per denunciare ancora una volta «l'invidia e l'odio» di cui è vittima da parte di chi «vuole farmi fuori sul piano patrimoniale, sul piano dei diritti politici e su quello della libertà personale».
LA MORSA DELLE PROCURE SU B. La morsa delle Procure, insomma, si fa sentire. E certoil «mini-sconto» ottenuto giovedì dal procuratore generale della Cassazione sul risarcimento dovuto a Cir non può di certo fargli cambiare umore.
Come se non bastasse, a Napoli ha preso il via l'udienza preliminare per la vicenda sulla compravendita dei senatori. Con la richiesta di patteggiamento di un anno e otto mesi dell'ex Idv Sergio De Gregorio.
Difficile credere che il nodo giustizia e quello economico non avranno ripercussioni sulla tenuta della maggioranza.
Giovedì, 27 Giugno 2013
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